W l’Amore !

Fa sorridere trovarsi in fila al supermercato e ricevere sul telefonino i messaggi, quasi in contemporanea, di qualcuno che apprezza il mio blog!

Liliana che addirittura propone un “Giosby for President” che davvero mi commuove…

e Cosimo Archibugi, che intuendo la mia dedizione alla psicanalisi, per me utilissimo strumento per districarsi nelle vicende della vita, seppure “non condividendo” considera “giusta”la mia fiducia nell’amore.

Ma questa “fiducia nell’amore” è un tema che va approfondito, e che vorrei spiegare un po’ meglio.

Infatti non si tratta di un tema “morale”, come inteso da Cosimo Archibugi, ma di un tema scientifico.

La psicanalisi è una scienza che si occupa dello studio della psiche, ma vive nella contraddizione apparente per cui soggetto ed oggetto di studio coincidono.

Spiego meglio: se io, Giorgio, intendo osservare Carlo, i suoi sentimenti, le sue emozioni, ciò che di lui non è “misurabile” come la temperatura del corpo o la pressione arteriosa, il peso e l’altezza e il colore degli occhi …, dispongo soltanto della mia sensibilità.

Al di là di ciò che Carlo “dice” con il linguaggio verbale e non verbale, esiste ciò che Carlo “suscita in me stesso”: emozioni, paura, rabbia, disagio, amore, odio etc etc.

In questo senso l’idea generica dell’amore è soltanto una chiave di lettura del mondo.

Ognuno di noi per sopravvivere ha bisogno di amore. Quando ci si sente non amati si perde anche la capacità di amare. E questo molte volte ha conseguenze drammatiche.

Poi l’amore permette di sopravvivere soltanto se si hanno sufficienti mezzi “economici” di sussistenza.

“Tutti sappiamo che i bambini del terzo mondo, nonostante le cure materne, muoiono di fame.
Pochi invece sanno che anche i bambini nei paesi a più elevato sviluppo socio-economico, che hanno a disposizione cibo in abbondanza e cure igieniche adeguate, si ammalano fino a morirne, se sono privati delle carezze e del contatto di cui hanno così tanto bisogno. René Spitz (Il primo anno di vita), noto neuropsichiatra infantile degli Anni Trenta, ricercò e studiò a lungo (ne “Il primo anno di vita del bambino”) le cause del marasma infantile, malattia caratterizzata da progressivo deperimento organico, che portava a morte i piccoli ospiti degli orfanotrofi americani.

E alla fine giunse alla conclusione che nell’ambiente asettico, bianco e silenzioso delle nursery, quello che mancava era un contatto caldo, affettuoso, variato, che costituisse lo stimolo della vita e della crescita.
I bambini in stato di carenza affettiva attraversavano vari stati di depressione sempre più profondi fino a lasciarsi morire.”

(FONTE: Tatto e bisogno di contatto pag 32/33)

Ciò che noi proviamo, in rapporto con gli altri, è un continuo mutamento dei nostri stati d’animo.

Noi cambiamo continuamente, e una grande parte dei cambiamenti del nostro sentire “amore” è in rapporto al nostro vivere insieme agli altri in un continuo scambio emotivo ed affettivo.

Adesso io ritengo che la sopravvalutazione degli aspetti economici, su cui tutto il mondo politico punta per ottenere i voti per essere eletti e riuscire a governare un Paese, con notevoli vantaggi economici anche per se stessi, sia una malattia del nostro mondo da cui difficilmente potremo guarire.

  • Il percorso di riappropriazione della nostra affettività, poterla riconoscere come un aspetto fondamentale della nostra esistenza.
  • La capacità di leggere il proprio vissuto, la propria sensibilità e accettarla come una ricchezza che ognuno di noi possiede e che può utilizzare per godere della propria vita.
  • Lo scambio affettivo continuo che è al centro dell’esistenza.

Questi sono gli aspetti che potremmo porre al centro della nostra vita politica, della nostra proposta di riforma dell’organizzazione sociale.

Perché se il concetto di ricchezza non è più legato al possesso di beni materiali, bensì alla propria ricchezza interiore, alla propria ricchezza affettiva, allora i parametri su cui centrare la propria attività politica e sociale cambiano completamente.

Le nostre rivendicazioni chiederanno maggior TEMPO piuttosto che maggior DENARO.

Ma invece viviamo in un epoca dove la cultura dell’ultimo vincitore delle elezioni (non dimentichiamoci di Berlusconi, un simbolo della scelta che una buona parte di Italiani ha fatto) è quella di un uomo che con i soldi può comprare qualsiasi cosa, dai calciatori ai giudici, dai parlamentari alle donne.

E proprio su questo sistema di comprare le donne, che poi lo ritroviamo nella vita sociale di una gran parte dei maschi italiani che si rivolgono alla prostituzione, che cade completamente il tema dell’amore.

L’amore, nel suo aspetto fisico, perde di significato in senso emotivo e diventa semplicemente una moneta di scambio economico.

E così il cerchio si chiude, i valori sono ribaltati e la modalità di rapporto economica prevale completamente sulla modalità di rapporto simbiotica.

Perciò il mio “W l’Amore” non è uno slogan “morale”, ma il frutto di una ricerca scientifica che ci dimostra che senza l’amore si muore, esattamente come si muore senza cibo.

Quando penso ai numerosi suicidi di questi tempi, anche di imprenditori che si ritrovano sommersi dai debiti, immagino queste persone che hanno dedicato la vita al lavoro per ritrovarsi con una situazione dove il denaro rappresentava la totalità dell’esistenza, e la sua mancanza ha determinato la loro tragica scelta. Persone che purtroppo hanno perso la dimensione e l’equilibrio degli aspetti della vita, un bene prezioso, in cui il prevalere del dio denaro può uccidere…

Un sentito “Grazie” ai generosi commenti che mi hanno stimolato per scrivere quanto sopra!

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4 pensieri su “W l’Amore !

  1. Al di là dell’espressione “i bambini del terzo mondo” (che denota che l’autore, ignoto, nemmeno sa cosa significhi, ma fa tanto veltroniano), il concetto mi sembra del tutto errato.
    Nel “terzo mondo” quale è l’Asia, le carezze sono di fatto inesistenti, così come il contatto con i bambini è estremamente limitato, ed i genitori sono spesso considerati alla pari (in diritti, doveri e affettività) con zii, nonni, famigli ed altri parenti.
    Credo sia doveroso evitare questo universalismo low cost che vuole omologare il comportamento delle umanità planetarie ai preconcetti ed ai dogmi (estremamente variabili) della vecchia Europa.
    Un po’ come Zamenhof che con l’esperanto voleva imporre l’alfabeto “latino” e le regole grammaticali e sintattiche delle lingue che conosceva (tutte europee oltre all’ebraico) alle culture dell’intera umanità, senza nemmeno prendere in considerazione che le struttura del linguaggio sono infinite, e che i suoni vengono percepiti in modo differente sul globo (basti dire, ad esempio, che la lingua khmer ha 26 vocali, che “noi occidentali” nemmeno riusciamo a distinguere).
    Credo che i mondi differenti che non vogliono omologarsi ai neocolonizzatori, nel linguaggio, come nel rapporti interpersonali, meritino rispetto e maggiore attenzione.
    O sbaglio?

  2. Ciao Enrico! Ho sempre sognato di dedicarmi all’antropologia e le tue osservazioni sono quanto mai preziose.
    L’autore del brano da me citato non è ignoto, ma si chiama Giovanni Leanti La Rosa
    Il concetto di terzo mondo, che ci porta un po’ fuori tema, non risale certo a Veltroni (chissà che c’entra?) ma alla nostra storia internazionale
    Ma non perdiamoci in quisquilie.
    Lo studio di René Spitz, per altro piuttosto datato, dimostra che i bambini privati di adeguate attenzioni affettive e fisiche rischiano la vita.
    Tu affermi che il contatto con i bambini nel “terzo mondo” è estremamente limitato. Invece a me risulta che l’allattamento al seno ha una media in tutto il mondo di circa 4 anni. Può essere un dato esagerato, ma sicuramente in Asia l’esperienza dell’allattamento al seno si protrae molto più a lungo che in Occidente.
    Ti verrà semplice intuire che questa esperienza comporta un forte contatto tattile tra madre e bambino, nonché un forte scambio emotivo.
    Poi ritengo che, ad esempio, nella civiltà asiatica l’uso del passeggino sia stato introdotto dagli occidentali, ma la tradizione di vita comporti il portare i bambini in braccio, molto più comunemente di quanto non facciamo noi in Occidente.
    Tanto è vero che creiamo addirittura delle associazioni per permetterci di ritrovare queste sane abitudini, copiandole dal “terzo mondo” -> PORTARE I PICCOLI

    Ovviamente non conosco gli usi e le abitudini Cambogiane, e credo alla tua esperienza. Ma, come mi fai notare in altra sede, la Cambogia viene da anni di dittatura comunista dove “i principi dell’’Angkar, il sistema di governo dei Khmer rossi, di stretta osservanza della rivoluzione culturale maoista, aveva eliminato il rapporto genitori/figli. L’’Angkar era chiamato “papà-mamma”, i figli venivano separati dai genitori, dopo pochi mesi (gli elementi di più stretta osservanza politica donavano spontaneamente i figli all’’Angkar), e perdevano qualsiasi autorità diritto su di essi, al punto che non potevano nemmeno sgridarli.
    Dall’età di 12 anni poi non avevano più nessun contatto con i genitori naturali.”

    Difficile valutare come queste esperienze di separazione forzata tra genitori e figli possano essersi radicati nel costume cambogiano. Il fenomeno meriterebbe un approfondimento.
    D’altra parte anche in Israele l’esperienza “socialista” del kibbutz comportava una separazione forzata dai genitori.
    Ho conosciuto personalmente alcuni israeliani che si sentivano vittime di questo tipo di organizzazione, soffrendo molto per le loro carenze affettive anche in età adulta.

    Che dire allora?
    Io ritengo che il bisogno di contatto fisico e di calore nell’infanzia sia molto radicato in qualsiasi cultura. Lo troviamo anche nelle scimmie antropomorfe…
    Certo che in ogni cultura si sviluppa in modo diverso. Ma è comunque un bisogno molto profondo, e la negazione di questo bisogno può avere conseguenze incalcolabili sullo sviluppo.
    Grazie per il tuo contributo.
    Ciao

  3. Temevo, nel mio precedente commento, non vi fosse da parte sua un’analisi sociale dell’amore(cioè una ecologia ove vivono individui che per il proprio bene si scambiano amore), ma una “buona fede”. Lieto di essere smentito. Concordo con la sua analisi anche se per stabilire una priorità tra amore e economia sarebbe interessante capire se l’uno (l’amore) non sia un sottoinsieme dell’altro. Mi riferisco alla definizione di amore che, annosa questione, oscilla tra dono e scambio. Intendendo il dono come un ricatto, mi piace pensare che l’amore sia scambio, che il perdono sia scambio(per esempio chi riceve l’indulto reitera meno http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=18TJ5D),
    che l’ascolto e la gentilezza siano scambio. Mi fermo perché temo di divagare. Le rinnovo i complimenti, soprattutto per l’attenzione che dedica ai commenti (Enrico).

  4. @ Cosimo: non credo occorra stabilire una priorità tra amore ed economia, piuttosto che sia necessario trovare un equilibrio.
    Dove c’è una prevalenza di una delle due modalità di rapporto si rischia la patologia.
    Pensiamo a coloro che si suicidano per amore e a coloro che invece si suicidano per una vera (o presunta) mancanza economica.

    Tutto ciò succede per una sopravvalutazione di uno dei due aspetti e per una totale perdita di identità a causa delle mancanze sopravvenute.

    Ma non si può perdere la propria identità se il rapporto d’amore primario, quello tra figlio e genitore omologo (dello stesso sesso), è solido e confermato nel corso della vita.

    Questo è quanto ho osservato durante la mia esperienza.

    Il denaro viene spesso utilizzato come mediatore. A volte è talmente difficile esprimere l’amore con il proprio corpo che si è costretti ad utilizzare il denaro per manifestarlo.
    Ma questo comporta una certa confusione tra i due piani. E’ ovvio che fa piacere offrire o ricevere un bel dono tra persone che si amano, ma se questo aspetto diventa prevalente in una relazione i rischi sono molteplici.
    Ma è un discorso troppo lungo per questo piccolo spazio.

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