Credo che Facebook sia uno strumento e, in quanto tale, può essere utilizzato in molteplici modi.
Ovviamente chi lo gestisce ne ricava immensi vantaggi economici, ma chi lo utilizza usufruisce di un servizio che può anche essere utile, oltre che dilettevole.
Ovviamente può essere anche alienante, può produrre dipendenza, come tutte le cose che, in qualche modo, piacciono. Non soltanto l’alcool la droga e il fumo, ma anche un certo abbigliamento, o una certa trasmissione TV, o semplici abitudini cui non riusciamo più a rinunciare.
In qualche caso però Facebook potrebbe anche salvare la vita.
Succede infatti che qualcuno annunci proprio in Facebook la volontà di suicidarsi. Un ultimo appello, lanciato nel mare di internet, sperando magari che qualcuno possa lanciare un salvagente prima di affogare irrimediabilmente.
Per cercare di prevenire i suicidi il social network ha varato una nuova funzionalità, battezzata Report Suicidal Content.
Si tratta di una form da riempire e inviare qualora ci si imbatte nelle dichiarazioni di qualcuno che minaccia di suicidarsi: una volta inseriti i dettagli, un amministratore di Facebook riceverà il messaggio e prenderà “ogni provvedimento possibile”.
Ma questo signore ha presente gli effetti devastanti che può avere l’eroina su una persona?
Ha mai letto delle statistiche che riguardano i morti causati dal fumo del tabacco?
Il tabacco è la causa maggiore di morte, tra le varie sostanza che vengono usate.
E l’alcool? Non ci sono svariati casi di persone che guidano ubriache e uccidono a caso?
Eppure il nostro Stato BUONO che Giovanardi rappresenta vende e guadagna, in regime di monopolio, alcool e tabacco.
Si pubblicizzano i superalcolici in tv come se niente fosse.
Ma in questo caso il nostro sottosegretario non ha niente da dire.
E si è mai chiesto il nostro sottosegretario se diffondere notizie assurde come quelle secondo cui le droghe sono tutte uguali potrebbe aiutare qualcuno dei nostri ragazzi che magari qualche volta si fuma uno spinello a provare droghe diverse, tanto, secondo il nostro sottosegretario, sono tutte uguali!
Magari uno che si è appena fatto un buco di eroina non causa incidenti stradali per il semplice fatto che non si regge neanche in piedi!
Magari Giovanardi non è interessato a sapere che l’uso della siringa crea una dipendenza fortissima, a differenza di altri modi di assumere sostanze stupefacenti.
Nessuno insegna ai ragazzi a conoscere realmente i pericoli dell’uso di queste sostanze.
Il fumo è tollerato in tutte le scuole italiane. Gli insegnanti fumano tranquillamente e sono un pessimo esempio.
Nessuno racconta ai ragazzi che per liberarsi di questo vizio con ogni probabilità occorreranno molti anni, e che questo vizio gli costerà migliaia di euro nel corso della loro vita.
Niente. Niente di niente.
Soltanto un gratuito “imbecille” a coloro che tra le tante droghe vogliono fare chiarezza, aiutando chi malauguratamente si avvicina a queste esperienze almeno a sapere a cosa va incontro.
No, niente! Tutto uguale!
Ragazzi miei, se oggi vi fate una canna e domani vi fate una pera non cambia niente! Sempre drogati siete!
Se invece fumate 30 sigarette al giorno siete una sana gioventù!
Se vi fate 4 bicchieri di vodka tutto tranquillo, tanto è festa!
Basta che non guidate l’auto! Parola di Giovanardi!
Per fortuna i nostri ragazzi non sanno niente di questo sottosegretario e si fidano maggiormente delle informazioni che si passano tra di loro.
Per quanto fantasiose e piene di lacune, saranno sempre migliori delle bugie del nostro sottosegretario!
Caro Giovanardi, tu sei un pericolo per i nostri giovani.
Tu non sei tanto ignorante da non sapere queste cose, e neppure tanto imbecille da non capirne l’importanza.
No, tu sei soltanto un mascalzone, che diffonde notizie false e tendenziose mettendo a rischio la salute di tutti.
Da alcuni giorni discuto un po’ animosamente con Lameduck
sul blog del Tafanus.
Il tema del dibattito ha origine nel post di Lameduck riguardante l’omicidio di Sarah Scazzi: A chi non ti ha difesa
Il punto di vista di Lameduck è originale e interessante ed individua nell’omertà delle altre donne della famiglia il vero responsabile della tragedia che, secondo l’autrice, poteva essere evitata.
Non mi dilungo sulla questione, chi ne ha voglia legga l’articolo e i relativi commenti.
A un certo punto però, tra me e Lameduck avviene un corto circuito. Sembriamo proprio due caproni che si tirano cornate uno contro l’altro a testa bassa.
Sto cercando di capire il motivo di questo scontro e se può essere utile in qualche modo, anche perché su diversi punti le idee mie e di Lameduck convergono.
Per esempio concordiamo sul fatto che i disagi all’interno della famiglia possano e debbano essere prevenuti, con una educazione che abitui al dialogo e ad una serena espressione dei propri sentimenti.
Tuttavia a un certo punto, tra un commento e l’altro, io scrivo:
Continuo asserendo che l’articolo di Lameduck si inserisce in questo contesto di attacco alla famiglia.
Il mio discorso viene ignorato e ridicolizzato da Lameduck:
Intanto sembra che l’unica cosa che mi interessi sia competere con lei:
“Dai, vuoi solo rubare la scena, ammettilo.”
Questa frase nega qualunque valore al mio discorso, sembra che io scriva non tanto per comunicare un’esperienza e delle conoscenze, ma per arrecare danno a Lameduck !!!
Ma quello che più mi fa incazzareè che io porto l’esempio dell’allattamento al senosemplicemente per spiegare un fenomeno come quello dell’ INTERFERENZA SOCIALE ED ECONOMICA sulla vita della famiglia, e questo esempio viene preso per criticare l’allattamento al seno, come se si trattasse di una scusa banale per colpevolizzare ancora una volta le donne!!!
1. L’allattamento al seno è un’ottima prevenzione anche per il disagio psichico.
2. E’ consigliato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità l’allattamento al seno fino oltre i due anni di età.
3. Ridicolizzare questo utilissimo strumento preventivo fonte di benessere e di sanità per la donna e per i bambini fa parte dello stesso tipo di sabotaggio che la società svolge per interessi prevalentemente economici.
4. Quanto alla donna che “il latte non ce l’ha” come scrive Lameduck vorrei citare il documento del Ministero della Salute del 2007 (governo Prodi) “Linee di indirizzo nazionali sulla protezione, la promozione ed il sostegno dell’allattamento al seno” (scarica QUI) a pagina 2
“il Ministero della salute, in conformità con le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), raccomanda perciò, come misura di salute pubblica, che i bambini siano allattati esclusivamente al seno fino a sei mesi e che l’allattamento al seno continui poi, con adeguati alimenti complementari fino a che la madre ed il bambino lo desiderino, anche dopo l’anno di vita;
il Ministero della salute riconosce che l’allattamento al seno è un diritto fondamentale dei bambinie che è un diritto delle mamme essere sostenute nella realizzazione del loro desiderio di allattare nel rispetto delle diverse culture e nell’impegno a colmare ogni tipo di disuguaglianze. A parte rari e specifici casi in cui l’allattamento al seno è impossibile o controindicato, le donne che, dopo aver ricevuto un’informazione completa, corretta ed indipendente da interessi commerciali sull’alimentazione della prima infanzia, decidano di alimentare artificialmente i loro figli, devono essere rispettate per questa loro decisione e devono ricevere tutto il sostegno necessario a metterla in pratica nel miglior modo possibile. È compito degli operatori sanitari e sociali fornire alle donne informazioni corrette sui benefici e sulla pratica dell’allattamento al seno, in modo che le stesse possano prendere decisioni informate. Per garantire la massima indipendenza, queste informazioni non possono essere fornite da entità che abbiano interessi commerciali nella produzione, distribuzione e vendita di alimenti per l’infanzia e di strumenti per la loro somministrazione”
5. Quanto alle “ragadi che fanno male” (aspettavamo Lameduck per questa notizia sensazionale 🙂 sorry) essesi formano principalmente a causa di un’errata postura del bambino durante la poppata e non dovrebbero essere una causa di interruzione dell’allattamento, visto che è un problema che si può risolvere con facilità e con una buona informazione, che si può trovare dalle organizzazioni femminili di sostegno all’allattamento al seno, come il MAMI o La Leche League.
6. Nessuno ha mai pensato di colpevolizzare le donne che non allattano. Se Lameduck avesse letto bene i miei commenti avrebbe letto che una delle cose che ritengo maggiormente dannosa per l’equilibrio delle famiglie è proprio la colpevolizzazione dei genitori:
non aiuti proprio nessuno ad utilizzare la psicologia e la psicanalisi quando qualcuno ha bisogno di un sostegno.
Neanch’io esercito, ma per motivi dovuti a mie difficoltà e anche a fattori economici, anche se mi piacerebbe lavorare soprattutto nel campo della prevenzione. Ma mi guarderei bene dall’affermare che la psicologia è un servizio sociale ben poco utile, come si deduce da ciò che scrivi!
Infine ti ringrazio per aver stimolato queste riflessioni, anche se rimango deluso della tua ignoranza e presunzione (scusami se insisto, ma mi piace dire le cose che penso chiare e tonde) su un argomento tanto rilevante.
Un abbraccio sincero
Giorgio
P.S. scusami se metto in rilievo la tua ignoranza sul tema, ma credo che la prevenzione e il benessere di donne e bambini hanno la precedenza sulla tua sensibilità che spero di non ferire. Sono temi su cui è necessario essere estremamente chiari e c’è già abbastanza gente che diffonde disinformazione sul tema. Mi dispiace molto che proprio tu, che stimo molto su altri temi, debba fare ironia in un campo dove una maggiore attenzione è necessaria da parte di tutti.
Ci è parsa quindi naturale l’aspirazione a una completa rifondazione dei nostri concetti di prevenzione del disagio psichico infantile, adolescenziale e adulto. Non è questa la sede idonea per una disamina completa di questa ipotesi, ma, come affermato alla fine del paragrafo precedente, è quanto meno possibile tradurre quanto emerso dalle nostre casistiche in obiettivi possibili per una prevenzione efficace.”
Altre foto cliccando sulla foto. Grazie a Fabio F.
Vivo a Spinetoli da sei anni.
Conosco bene la Scuola Media di Pagliare, la parte del Comune che si trova nella vallata, considerando che i miei figli l’hanno frequentata, anzi la più piccola la frequenta ancora …
Ma per sapere quello che accade attorno allo “Stagno delle Meraviglie” mi è capitato soltanto di leggerne la storia su Byoblu, il blog di Claudio Messora, che riprende il tema anche in questo secondo post, intitolato addirittura:
La storia è controversa e, come tutte le storie un po’ bislacche, mi incuriosisce.
Pertanto sono andato a trovare il Sig. Gino Schiavi, come promesso nel blog di Byoblu
Ho conosciuto così una persona molto simpatica e assai disponibile e ho iniziato a chiedermi come mai il nostro Gino, ambientalista praticamente da sempre, fosse finito nel mirino come una persona che odia la natura, lo stagno e tutta la fauna che lo popola.
In effetti Gino sembra ormai affezionato ai rettili che ogni tanto incontra, mentre le maggiori lamentele sembrano arrivare dalla sua signora effettivamente un po’ terrorizzata per gli orripilanti e frequenti ritrovamenti nell’ambiente domestico.
Nella casa della famiglia Schiavi, proprio di fronte al famigerato stagno, si vive ormai praticamente barricati in casa, con porte e finestre sempre serrate.
E in estate questo estremo rimedio non è certo piacevole …
Il Sig. Gino ha tentato tutti gli espedienti per tenere alla larga le povere bestiole, colpevoli di appartenere alle specie striscianti e antipatiche all’uomo fin dai tempi di Adamo ed Eva.
Questa paura è piuttosto comune, tanto che è stato coniato una parola apposita per descriverla: ofidiofobia.
Un bel repellente chimico, usato con tutte le precauzioni, come illustrato nel suo dossier, è riuscito nell’intento, salvo poi essere beffato dai suoi tre gatti di casa che, con grande gioia da piccoli predatori, talvolta portano in omaggio alla famiglia una biscietta ancora in forma, capace di scavalcare ogni ostacolo e di intrufolarsi in qualche angolo della casa.
Che fare a questo punto? Si potrebbero anche chiudere i gatti in casa? Ma non è certo il caso!
In realtà il Sig. Gino, persona dotata di grande sensibilità e intelligenza, non si arrende di fronte a nulla e non indietreggia.
Lo stagno ospita molte forme di vita, tra cui una specie rara e protetta, il rospo smeraldino.
Tuttavia Gino osserva che, con ogni probabilità, il prezioso rospo, arriva da un canale poco distante e l’interramento dello stagno non necessariamente ne decreterebbe la scomparsa, ma soltanto un rapido trasloco.
Certo che una bella area protetta sarebbe forse una soluzione più auspicabile!
Il dibattito sul tema si sviluppa nel forum di Natura Mediterraneo, per ben 31 pagine!
Sono riuscito a leggerlo tutto! Che fatica …
Diverse volte il caro Gino ha abbandonato la discussione, ma infine si è lasciato coinvolgere dalle altre parti in causa, coloro che vogliono proteggere la vita dello stagno, che si è ormai adattato completamente all’ambiente circostante, pur essendo una creazione del tutto artificiale.
Ma, oggi come oggi, lo vediamo impegnato accanto ai suoi contestatori di ieri, agli insegnanti della scuola, fianco a fianco per “proporre alla regione un progetto pluriennale sulla biodiversità, vorremmo classificare tutti gli organismi presenti nell’ecosistema, con particolare riferimento al rospo e alla biscia.
Il progetto prevede una parte in cui si studierà la possibile convivenza tra l’ambiente naturale e quello urbano ed eventuali interventi per impedire che i due entrino in conflitto.”
come afferma la Prof.ssa Sandra Antimiani a pag. 31 del suddetto FORUM
Il Sig. Gino, non solo vuole condividere il progetto, ma segnala anche altri elementi di disturbo dell’ambiente:
“In futuro,spero di poter condividere con tutto il vicinato il vostro nuovo progetto che andrebbe inserito stabilmente nel contesto di un vero parco urbano,per cui è ,a mio avviso,indispensabile ottenere una definitiva destinazione urbanistica e la relativa sistemazione di quell’area.Oltre ciò,va considerato e non trascurato il fattore di rischio ambientale dato dall’eventuale rilascio in atmosfera di fumi,gas e polveri derivanti da processi produttivi insalubri di un’azienda presente nelle immediate vicinanze. “
Veramente meraviglioso questo piccolo stagno, sembra quasi incantato.
In Italia è veramente raro trovare le persone che fanno tesoro della conoscenza reciproca, comunicano e scoprono durante il percorso di avere obiettivi ed aspirazioni simili.
In genere troviamo sempre polemiche sterili, posizioni rigide che si contrappongono, persone che continuano a perorare cause anche assurde soltanto per mantenere la posizione iniziale con cocciutaggine, anche se al di fuori di qualsiasi logica.
Insomma non siamo più abituati a ragionare, ma soltanto a cercare di aver ragione!
Forse, in questo caso, le persone comuni hanno cercato di capire e intervenire in modo autonomo, senza legarsi a schieramenti politici, senza proclami e schieramenti, e proprio questo ha permesso un’auspicabile soluzione che speriamo possa accontentare tutti.
Speriamo anche che la politica si metta poi al servizio delle esigenze dei cittadini e non strumentalizzi in alcun modo la realizzazione dei bei progetti di intervento. Speriamo anche che i politici locali siano in grado di aiutare effettivamente, e non soltanto a parole.
QUI è possibile scaricare il dossier di Gino Schiavi sullo Stagno delle Meraviglie.
(adesso finalmente funziona …)
E’ molto interessante.
Ringrazio Byoblu per avermi aiutato a trovare un nuovo amico!
Lo sviluppo della nostra società riguarda l’evoluzione dell’idea di spazio pubblico, dall’invenzione del teatro nella polis greca alle piazze del rinascimento. E’ in questo quadro che s’inserisce la creazione di ambiti ludico-partecipativi per l’aggregazione giovanile anche nel web.
Questo approccio può diventare un’opportunità per coniugare il principio basilare del sistema educativo, quello di formare cittadini, con la pratica culturale nel nuovo spazio pubblico che sta emergendo, quello di Internet.
In questo senso è importante la realizzazione di nuovi format culturali ed educativi di comunicazione interattiva per interpretare le potenzialità di ciò che viene definito il web 2.0, ovvero l’evoluzione della rete nel senso partecipativo, come il fenomeno dei blog e dei social networking ha reso evidente.
La rete come spazio pubblico
La scommessa principale in atto per quanto riguarda l’Innovazione è direttamente proporzionale alla capacità d’interpretare la Società dell’Informazione per ciò che può diventare: il nuovo spazio pubblico, quello di una polis fatta da informazioni prodotte dall’azione degli uomini che vivono e usano la rete come nuova opportunità di relazione sociale.
L’evoluzione del social networking ( e ancor prima dei blog) rifonda il concetto d’informazione: non più solo prodotta dagli specialisti (giornalisti e autori) bensì dagli utenti dei sistemi informativi che, attraverso l’approccio interattivo, esprimono il loro diritto-dovere di cittadinanza nella società dell’informazione. Si tratta di condivisione dello spazio pubblico rappresentato dalle reti: l’infrastruttura della società in divenire.
L’utente delle reti può trovare il modo per portare con sé, dentro la rete globale, la dimensione locale della propria soggettività e della propria comunità, per dare forma alla coscienza dinamica della propria partecipazione attiva. Educare dopotutto significa “tirar fuori” (dal latino “educere”).
E’ qualcosa che è già nell’aria da tempo nella cultura digitale ma che deve ancora compiersi nell’assetto generale della res pubblica ed è per questo che è decisivo saper guardare alle nuove generazioni. Sono loro i futuri soggetti attivi di una socialità nuova che darà forma e sostanza alla figura che è ben definita da uno dei soliti neologismi: prosumer, il produttore-consumatore d’informazione.
Verso una società dei saperi e dei pareri
Senza questa attenzione qualsiasi portale web apparirà come uno di quei gran portali di ranch visti nei film western degli anni Sessanta: una grande impalcatura con il deserto dietro. La fortuna delle piattaforme di social networking dimostra quanto sia possibile rilanciare una strategia di comunicazione pubblica che sia in grado di tradurre l’interattività in nuova forma d’interazione sociale e anche, diciamolo, emozionale.
Per accostare all’auspicata società dei saperi anche una società dei pareri. Le strutture relazionali della società di massa (amplificata dai mass-media) sono logore e necessitano un radicale ripensamento a partire da un più preciso orientamento della comunicazione verso target particolari, dai gruppi d’interesse alle diverse comunità della società multiculturale, fino alle diverse fasce generazionali, pensionati o adolescenti che siano.
È da considerare però che non è solo una questione di nuove funzionalità. Non è infatti solo un fatto di servizi più evoluti, di soddisfazione dei bisogni, bensì di strategia di comunicazione pubblica che solleciti il desiderio di mettersi in gioco: di partecipare a piattaforme web che sappiano fidelizzare e valorizzare il feedback dei cittadini on line. Perché si renda esplicito quanto la rete possa essere spazio pubblico.
carlo@performingmedia.org
Aggiornato circa 7 mesi fa E poi i commenti, tra cui i miei:
Una buona risposta a chi dice che facebook e i social network non servono, che è solo cazzeggio, ricerca di amici, di compagni di classe, di primi amori, che la piazza è fuori, che in rete non ci sono le emozioni. La rete non sostituisce la piazza, pu… Mostra tuttoò amplificarla, può aprire nuovi spazi, può connettere le persone, aprire spazi di partecipazione, di condivisione e di informazione partecipata. E a fare questo sono i nuovi social network locali, sempre pronti a tenere aperte le porte verso il nuovo
@andrea garbin condivido e condivido il link. La rete ha un potenziale enorme per aggregare tutte le voci fuori dal coro e creare un nuovo paradigma partecipativo, anche tra un cazzeggio semiserio e l’altro, senza demonizzare la voglia di giocare. Almeno per me, il gioco ha funzione terapeutica (ma i giochetti di facebook so’ veramente troppo scemi…ooops, volevo dire di livello intellettuale troppo elevato! 😛 )
Le opere digitali hanno la forma e la dinamica delle idee e come le idee non hanno più proprietari, ma solo pensatori e ri-pensatori.
L’artista genera personaggi, storie ed opere originali da gettare in pasto alla moltitudine, rendendole collettive e mutanti.
Nasce cosi un nuovo teatro che si nutre di rappresentazioni individuali e collettive, che nascono sulla rete e chiedono di sfociare nelle piazze.… Mostra tutto
Insorge una nuova letteratura che vede i suoi personaggi raccontarsi da soli, attraverso una scrittura atomica, dialogante e frammentaria.
Tutto questo avviene senza tregue ne traguardi, con un andamento esponenziale.
… L… Mostra tutto’arte in genere sembra meglio assecondare questo nuovo spirito del tempo e grazie al suo aspetto sperimentale e di avanguardia mette in evidenza alcuni aspetti culturali cruciali: il punto di vista con cui l’autore creava con un atto univoco la propria opera, è notevolmente cambiato poiché la dimensione sociale e interattiva del web ha coinvolto quello che fino a ieri era lo spettatore, facendolo diventare spesso coautore dell’opera stessa; le dinamiche di produzione delle opere artistiche inoltre sembrano superare il sistema di autoreferenzialità dato dalla logica autore – opera – critico – curatore – galleria – collezionista, a favore di una esposizione, orizzontale e dal basso effettuata direttamente nella rete; la dimensione globale del proprio fare artistico e creativo è affrontata a partire da una dimensione non solo cognitiva ma sempre più emozionale, la propria individualità, il proprio racconto o viaggio … http://www.facebook.com/note.php?note_id=93451191618&ref=nf
è affascinante prendere coscienza del fatto che tutti – disponendo di una connessione – possiamo diventare isole nella rete sia come singoli che come collettivi nel tentare di rappresentare qualcosa che ci preme, gioiosamente o con profonda sofferenza a seconda dei casi in cui siamo coivolti nella vita. Spesso avviene che le isole restano isolate, … Mostra tuttovengono dimenticate, ma altrettanto spesso comunicano, si fan guerra o si alleano. Molte si ignorano (forse si scopriranno i seguito). Mi è capitato spesso di scoprirne con linguaggi che sento miei, come se ci fossimo già parlati chissà quando e dove, accomunati da uguali sensibilità e sensazioni. Ed è facile ora – impensabile qualche decennio fa – dichiararsi amici, compagni d’avventura, semplicemente rispondendo a un messaggio e augurarsi vicendevolmente che un buon vento accompagni la nostra navigazione.
anche se la rete sembra diventare il regno della superficialità …
in rete gli stimoli sono veloci, e lo spazio per approfondire è quasi sempre tralasciato
Anche perché il CONTATTO VIRTUALE è ben diverso da quello FISICO e in rete il tempo si dilata e le interruzioni non sono un segnale di maleducazione, ma soltanto il segnale di una vita frenetica che non concede di fermarsi su qualcosa.
Un messaggio a volte riceve risposte dopo mesi, altre in pochi secondi, senza alcun senso allo scorrere del tempo che perde il suo significato.
i danni irreparabili è x chi soggiace all’addiction e si perde. … Mostra tutto
ma vale x qualsiasi cosa buona: dai gianduiotti all’oppio passando x i romanzi.
Molta gente è disposta a vivere prevalentemente in un’altra dimensione.
Tutto dipende se se lo può permettere o meno.
E poi non ci penso proprio a fare osservazioni scientifiche, m’annoia solo l’idea.
qualunque proposta aggiunge, ma non per questo possiamo dedurre che nulla toglie.
Infatti se faccio una cosa obbligatoriamente scelgo di fare QUELLA cosa PIUTTOSTO CHE qualcos’altro.
… Mostra tutto
Così la rete si PROPONE come un facile SOSTITUTO di relazioni sociali LIVE.Questo comporta una evoluzione dei costumi con maggiori difficoltà nelle relazioni REALI, proprio perché MENO usuali.
Fenomeno da osservare soprattutto nelle giovani generazioni, o web generation, che non hanno neanche un’esperienza precedente a cui fare riferimento.
Osservazione scientifica? Noiosa? Può darsi, ma in quale altro modo possiamo avvicinarci alla realtà?
La rete è un medium, qualcosa che fa da tramite, qualcosa di non diretto e reale, quindi filtrante e non realmente sociale.
La rete va utilizzata come un grande , enorme giornale, che è anche televisione che anche telefono, che è anche teatro e poesia.
Ma la socialità deve tornare nelle piazze e il goal è di chi riesce ad utilizzare la rete per catalizzare idee e contenuti partecipativi riusciendo a farli sfociare in luoghi di incontro pubblico, con dibattiti reali, fisici.
invece è dimostrato: l’oppio allieva il dolore. E’ buono.
Ma non mi riguarda, non sono terminale…
Il fatto che qualcosa sia facile va bene…
il punto è nel dimostrare che ogni automatismo (facile e felice… qual’è appunto il navigare) va interpretato come scommessa evolutiva. Ciò che si risparmia in tempo e fatica usando le reti, dovrebbe essere reinvestito nella progettazione di nuove pratiche.… Mostra tutto
L’idea di web come spazio pubblico si compie solo in questo caso. Altrimenti è solo cliccate a vanvera.
Io queste cose le faccio da 15 anni almeno, non ne parlo solamente. E i risultati ci sono, nonostante il fatto che questo Paese sia un colabrodo.
Si perde quasi tutto.
Se solo penso al lavoro che ho fatto nel sistema educativo: scrissi nel 1997 “Educare on line”.
altra cosa: il medium è il messaggio…la rete è un ambiente non solo un mezzo.
x giocare la partita in corso c’è da fare un bel salto di qualità mollando tante zavorre (almeno la metà di quello che insegnano, male, nelle scuole…).
è una bella conversazione, densa e serrata, e ha trovato anche un buon ritmo. Dimostra come la rete possa espandere le potenzialità della conversazione.
E’ in quest’ultima parola che si trova uno dei perni x capire cosa sia l’interattività, realmente…
vi linko ad una vecchia pagina web (è del 2000) e si riferisce al nodo educativo
Un insegnante descrive alcune difficoltà nella realizzazione di un progetto sulla collaborazione in classe:
“Vorrei riportare un fatto che mi è accaduto.
Insieme con i miei colleghi abbiamo elaborato un progetto sulla collaborazione, sullo star bene insieme.
Abbiamo presentato l’importanza di questo progetto ai genitori e agli studenti.
Nonostante il nostro impegno, abbiamo notato alcune situazioni sconfortanti.
Gli studenti avevano creato una gerarchia fra le varie materie: questo progetto di educazione ai sentimenti non veniva considerato alla pari delle altre materie, ma veniva percepito come un divertimento, come un giochino di socializzazione. In breve, come una perdita di tempo.
Quando si chiedeva loro: “Che cosa avete fatto a scuola?”, molti rispondevano frettolosamente: “Ah, niente. Abbiamo parlato”.
Probabilmente questi ragazzi ritenevano che la scuola fosse qualcosa di diverso.
“Scuola” nella loro mente è associata a spiegazione, interrogazione, voto.
Un’altra osservazione scoraggiante ci è stata presentata da alcuni genitori.
Venendo a colloquio, ci hanno chiesto costantemente: “Come va mio figlio ? Quanto si impegna ? Quali difficoltà incontra nella sua materia?”, ma nessuno di loro mi ha chiesto: “Cosa stanno facendo di interessante? In cosa consiste questa esperienza di collaborazione? Mio figlio e i suoi compagni stanno migliorando come persone? Come stanno cambiando le relazioni far di loro? Come si è modificato il clima in classe?”.
Mi rendo conto che non basta fare un progetto di educazione ai sentimenti o di apprendimento cooperativo.
Mi rendo conto anche che ci sono molte difficoltà, resistenze e svalutazioni verso l’approccio basato sulla collaborazione” .
E’ utile riflettere su questa contraddizione tra la nostra valorizzazione di progetti pedagogici di apprendimento cooperativo o di educazione ai sentimenti e la svalutazione che ricevono nella nostra società, dove si respirare costantemente un atteggiamento egocentrico di affermazione individuale, anche a scapito degli altri.
Possiamo notare che spesso, all’interno dei valori oggi dominanti, si tende a presentare la vita come una lotta, con l’unico obbiettivo di emergere.
Si esaltano i vincenti e si offendono i perdenti. Si suggerisce implicitamente che per emergere bisogna scalzare gli altri, che l’affermazione di uno consiste nell’esclusione di molti.
Questa è la trama del nostro modello culturale e sociale.
In alcuni contesti la gara comincia fin dalla scuola d’infanzia: bisogna raggiungere dei buoni punteggi per entrare nella scuola primaria, poi per accedere alla scuola superiore, poi per essere ammessi all’università , e infine per ottenere una buona sistemazione professionale.
La vita diventa una scalata per poter raggiungere i posti più elevati superando ed escludendo gli altri.
E’ una mentalità talmente diffusa e considerata normale che quando un insegnante propone dei progetti di apprendimento cooperativo, di collaborazione, di educazione ai sentimenti, viene frainteso dagli studenti, dai genitori e da quei dirigenti scolastici trasformati in manager di tipo aziendale.
Spesso i genitori chiedono ai figli: “Che voto hai preso?”, invece di domandare: “Quali esperienze avete fatto in gruppo? Che cosa è emerso all’interno della vostra classe? A cosa state lavorando insieme? Come riuscite a collaborare? “.
Generalmente i genitori manifestano poco interesse all’esperienza relazionale dei propri figli all’interno del gruppo classe. Mirano ai voti, al risultato.
Molti sono immediatamente pronti a giustificarsi: “Ma alla fine sono solo i voti che contano”.
Questo messaggio individualistico e competitivo si è ormai fortemente radicato nella mente e nel cuore degli studenti.
Forse sono proprio gli adulti che non credono abbastanza al valore della collaborazione a scuola.
Oppure presentano una singolare scissione: superficialmente, manifestano ammirazione verso i progetti di educazione alla collaborazione, ma in fondo pensano sia migliore la competizione, la selezione, il successo del proprio figlio rispetto agli altri:
“Gli altri che non riescono? Si arrangino. La scuola non è un istituto di beneficenza” .
La competizione è molto seduttiva: si insinua nella vanitosa aspettativa dei genitori di avere dei figli prodigio, si radica nell’egocentrismo esaltato di alcuni studenti che, per mancanza di una autentica autostima, hanno bisogno di essere considerati i migliori per sentirsi superiori.
Naturalmente, per raggiungere tale scopo, ci devono essere altri studenti da svalutare e da etichettare come inferiori.
Le domande pedagogiche che ci incalzano sono le seguenti:
Quale tipo di società stiamo costruendo o vogliamo costruire?
Una società competitiva o collaborativa?
Qual è la funzione della scuola in una società competitiva?
Qual’ è la sua funzione in una società collaborativa?
La scuola è al servizio degli interessi economici centrati sul profitto e sulla competizione di mercato?
Oppure è un luogo formativo per tutti, dove ciascuno può dedicarsi all’esplorazione dei propri talenti e alla formazione delle proprie competenze professionali, ma anche culturali ed esistenziali?
Possediamo una cultura della solidarietà e della costruzione del bene comune?
Le risposte a questi interrogativi sono per il momento scoraggianti.
Tuttavia, il compito dell’insegnante è di stimolare ogni studente a porsi domande sul tipo di società in cui viviamo e di orientare un pensiero comune verso la costruzione di progetti esistenziali più autentici, sia personali che sociali.
Il Governo Berlusconi mantiene la promessa: 36.218 docenti e 4.945 classi in meno, a fronte di un aumento di 37.876 alunni. La dieta imposta all’istruzione non migliora la qualità della scuola: nel dossier 2009 di Legambiente i tagli all’istruzione dal 2002 al 2010
Un ringraziamento all’autore, Mario Polito, che ha gentilmente autorizzato la pubblicazione del brano e al Gruppo Comitati-Genitori da cui ho ricevuto la segnalazione.
Omaggio ad Andrea Pazienza, artista scomparso tragicamente più di 20 anni or sono.
Spero soltanto che nessuno raccolga l’invito della tavola, ma a volte situazione apparentemente senza vie di uscita si possono risolvere soltanto grazie a un pizzico di follia.
In altre situazioni, troppe purtroppo, non si esce in piedi…
“Spezzagli le gambe, ammazzalo”, grida il genitore.
Lo scenario è quello d’una partita di campionato giovanissimi a Torino. L’urlatore è un assiduo frequentatore di spalti della provincia il cui erede suda, sbuffa e corre sull’erba spelacchiata dove le promesse del calcio subalpino si fanno le ossa. L’amore paterno lo vede già calcare ben altri palcoscenici calcistici, firmare contratti ricchi di zeri e di garanzie, dichiarare al microfono di qualche giornalista: “L’importante non è che io abbia segnato, l’importante è che la squadra vinca”.
Ma, prima di arrivare a tale sincera sublimazione morale, il ragazzo dovrà spezzare tante gambe e calpestare tanti coetanei, magari dotati quanto o più di lui, magari persino più bravi a giocare al pallone.
Non importa: bisogna arrivare in alto, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi costo.
“La situazione, nel nostro mondo, non è mai stata idilliaca”, spiega un direttore sportivo. “Negli ultimi anni – aggiunge – alcuni atteggiamenti sono peggiorati, ma devo dire che non sono una novità, purtroppo”. Eppure scoprire la situazione è scioccante. Ci sono i papà disposti a “minacciare gli altri genitori, il cui figlio ha preso il posto da titolare al loro. In qualche caso si è anche arrivati alle mani, perché chi vede il figlio andare in panchina non riesce a credere che ci sia qualcun altro che sa giocare meglio. La mentalità secondo cui, anche a scuola, se il maestro o il professore riprende il pargolo oppure gli affibbia un voto basso, non sta cercando di istruirlo ed educarlo, ma lo sta semplicemente angariando senza alcun motivo.
Nel mondo del calcio, dove il denaro facile pare alla portata di tutti e dove il successo rapido è ambito da papà e mamme di qualsiasi brocco, questi comportamenti diventano devastanti.
“Dopo aver visto un paio di partite in cui giocano bambini di 7-8 anni e i genitori urlano come pazzi, le assicuro che si resta male. C’è una sorta di guerra psicologica che spesso i papà fanno a ‘sti bambini. Non accettano errori, gli gridano di stare in quella posizione, di marcare così e cosà, di controllare meglio la palla”. “In alcuni casi – racconta un altro addetto ai lavori che opera a Torino – ci sono le mamme disposte ad avere rapporti sessuali con l’allenatore di turno, pur di sostenere il posto in squadra del figlio, che magari rischia di finire in panchina. Non sono dicerie, purtroppo, sono fatti che avvengono più spesso di quanto si possa pensare. Oddìo, non possiamo escludere – sorride – che ci sia la mamma che va con l’allenatore perché le piace, ma mi creda che invece l’aspetto della convenienza esiste eccome”.
“In molti quartieri torinesi il calcio è l’unico appiglio per un’affermazione nella società – spiega un allenatore – era inevitabile, dunque, che il mercato, le multinazionali, i propulsori del consumismo
galoppante, non considerassero questo mercato, un esercito di piccoli consumatori, ai quali, oltretutto, è difficile negare qualcosa”.
Non c’è più la divisa sociale, una sorta di democratico simbolo d’appartenenza. Anche nell’abbigliamento bisogna distinguere il proprio figliolo dagli altri. E così si acquistano materiali, indumenti e gadget, che da un lato soddisfano la smania dei genitori, dall’altro avviano precocemente l’attenzione del bambino verso il marchio, la griffe; il merchandising delle maggiori società di calcio prevede un’ampia sezione dedicata ai più piccoli. “Per fortuna, esistono ancora genitori normali – dice il direttore sportivo – che vivono il momento ludico e agonistico come occasione di crescita e di formazione del carattere, ma si trovano persone che vedono nella scuola calcio un’ottima alternativa al ‘baby parking’, o, di contro, genitori fanatici, i tifosi incalliti. Genitori che, travolti dalla delirante enfasi agonistica, sono pronti ad insultare i propri o gli altrui figlioli. Padri di famiglia capaci di trasformarsi in bestie, pronte ad avventarsi sul malcapitato arbitro. Io e i miei colleghi facciamo molta fatica a stigmatizzare i loro atteggiamenti senza offendere la loro ‘sensibilità’. Il fatto è che i bambini, sempre più precocemente, cercano di imitare gli adulti in quelle manifestazioni estreme di aggressività tipiche di un agonismo non certo infantile: risse, bestemmie, sputi eccetera sono ormai in agguato anche in partite tra bambini di dieci anni”.
Durissima la testimonianza di un ex allenatore che chiede, come tutti gli altri intervistati, l’anonimato: “Purtroppo il calcio giovanile è profondamente inquinato dai soldi e da strani personaggi che come gli avvoltoi girano intorno alle carogne. La meritocrazia è l’ultima cosa che conta: quantomeno nello sport si sperava che valesse qualcosa, invece vanno avanti i figli dei genitori più importanti o
d i quelli che riescono a instaurare il miglior rapporto con la società”. E continua, quasi infuriato: “Ci son scuole calcio, che, anche nella nostra regione, sono diventate per la gran parte dei luoghi di
raccolta e drenaggio di denaro sia con le iscrizioni dei più piccoli, sia con il passaggio (premio di avviamento) dei giovani giocatori a società professionistiche, semiprofessionistiche o anche dilettantistiche”.
Non mancano ovviamente le società serie, le persone perbene, i genitori che ancora mettono il valore formativo davanti alla carriera, il lavoro svolto in modo disinteressato e per il futuro dei giovani.
“Ma qualcosa si è rotto, mi creda – aggiunge – alcuni atteggiamenti che ci sono sempre stati si stanno però diffondendo a macchia d’olio. E purtroppo stanno diventando quasi normali, la gente si è assuefatta e li considera persino scontati, neppure si scandalizza”. Come il genitore che impone al proprio figlio di non passare mai la palla a quel compagno che potrebbe diventare più forte oppure segnare più reti di lui, o come il papà che elargisce un forte contributo alla società pur di veder giocare come titolare il pargolo: “Ma a volte si tratta di autodifesa – spiega un genitore – perché magari un ragazzino di famiglia normale, che non abbia una banda pronta a farsi giustizia sommaria alle spalle, rischia di essere messo sotto dall’ambiente. E allora, lo ammetto, ho cercato di tutelare mio figlio da palesi soprusi”.
Secondo un direttore sportivo, “certi atteggiamenti malsani sono purtroppo frequenti anche tra gli allenatori. Per questo sono convinto dell’importanza di una formazione adeguata dei tecnici giovanili. Chiunque, e questo lo si può facilmente verificare, può improvvisarsi allenatore, ma educare attraverso il gioco del calcio è un’altra cosa. La scelta è comunque sempre dei genitori. I problemi sorgono quando si perde di vista l’obiettivo primario della scuola calcio; certamente la vittoria non è lo scopo principale, ma farlo capire agli stessi genitori è spesso impresa ardua”. “Ma a me è capitato sovente – ribatte l’allenatore – di dovermi difendere da aspre critiche, perché, invece di far giocare i più capaci, ho preferito mandare in campo a rotazione tutta la rosa a mia disposizione, infischiandomene del risultato. Persino i genitori dei bambini meno dotati, talvolta avrebbero preferito una vittoria piuttosto che vedere il proprio figlio rimediare una sconfitta. E invece i bambini non sono neanche sfiorati dall’idea che qualcuno possa o debba restare in panchina, visto che una delle prime cose che ho insegnato loro è che tutti devono avere la possibilità di giocare”.
La via per il successo nel calcio è lunga ed impervia, questo si sa. E per successo s’intende anche un contratto in serie C, dove un giovane ha la possibilità di guadagnare stipendi che lavorando normalmente neppure potrebbe sognarsi. Ma, pur con tutte le squadre e le categorie professionistiche e non a disposizione, solo uno su mille ce la fa. E non sempre, verrebbe quasi da dire raramente, questi fortunati sono i migliori.
Spesso si tratta dei più raccomandati, quelli con i parenti più facilmente manovrabili, quelli che meglio si piazzano grazie ad abili maneggioni senza scrupoli ma con spiccato senso degli affari, talvolta in società senza alcuna programmazione del settore giovanile, ma solo per far quadrare un certo tipo di bilancio. “Va pure detto – chiarisce un altro addetto ai lavori – che negli ultimi anni l’investimento
sul giovane promettente, in un giusto e calcolato rischio di impresa, è merce davvero rara. Non si consente più al ragazzo di fare i suoi errori nell’attesa della preventivabile maturazione fisica e psichica come si faceva un tempo. Oggi si pretende il quindicenne già con fisico gladiatorio anche a costo di aiuti chimici. I fondamentali? Il tocco di palla? Ma chi se ne frega, basta che corrano e che picchino come fabbri ferrai”.
Si ringrazia Dario Lesca per la preziosa segnalazione
L’articolo si commenta da solo. Che dire? La mia esperienza con i miei figli che hanno praticato uno sport minore è molto simile, purtroppo. Con tanto di sponsorizzazioni e di seduzioni non casuali …
PERO
gadget, che da un lato soddisfano la smania
dei genitori, dall’altro avviano precocemente
l’attenzione del bambino verso il
marchio, la griffe; il merchandising delle
maggiori società di calcio prevede un’ampia
sezione dedicata ai più piccoli.
“Per fortuna, esistono ancora genitori normali
– dice il direttore sportivo – che vivono
il momento ludico e agonistico come
occasione di crescita e di formazione del
carattere, ma si trovano persone che vedono
nella scuola calcio un’ottima alternativa al
‘baby parking’, o, di contro, genitori fanatici,
i tifosi incalliti. Genitori che, travolti
dalla delirante enfasi agonistica, sono
pronti ad insultare i propri o gli altrui figlioli.
Padri di famiglia capaci di trasformarsi
in bestie, pronte ad avventarsi sul
malcapitato arbitro. Io e i miei colleghi facciamo
molta fatica a stigmatizzare i loro atteggiamenti
senza offendere la loro
sicuro che si resta male. C’è una sorta di
guerra psicologica che spesso i papà fanno
a ‘sti bambini. Non accettano errori, gli gridano
di stare in quella posizione, di marcare
così e cosà, di controllare meglio la palla”.
“In alcuni casi – racconta un altro addetto
ai lavori che opera a Torino – ci sono le
mamme disposte ad avere rapporti sessuali
con l’allenatore di turno, pur di sostenere il
posto in squadra del figlio, che magari rischia
di finire in panchina. Non sono dicerie,
purtroppo, sono fatti che avvengono più
spesso di quanto si possa pensare. Oddìo,
non possiamo escludere – sorride – che ci
sia la mamma che va con l’allenatore perché
le piace, ma mi creda che invece
l’aspetto della convenienza esiste eccome”.
“In molti quartieri torinesi il calcio è
l’unico appiglio per un’affermazione nella
società – spiega un allenatore – era inevitabile,
dunque, che il mercato, le multinazionali,
i propulsori del consumismo
galoppante, non considerassero questo mercato,
un esercito di piccoli consumatori, ai
quali, oltretutto, è difficile negare qualcosa”.
Non c’è più la divisa sociale, una
sorta di democratico
simbolo d’appartenenza.
Anche nell’abbigliamento
bisogna
distinguere il proprio
figliolo dagli altri. E
così si acquistano materiali,
indumenti e
Leggo alcuni commenti che arrivano su questo blog e mi viene qualche riflessione.
Alcune persone che commentano qui dentro sono legate da un filo comune, un atteggiamento simile rispetto al mondo.
Proviamo a metterlo a fuoco.
Siamo delusi dalla gestione delle attività in questo mondo e in Italia soprattutto.
Troviamo che la politica sia quasi sempre una forma di corruzione più che di libero dibattito per la costruzione delle cose migliori per la gente
Siamo delusi delle forme di protesta finora sperimentate che non portano a nulla, dal ’68 a Grillo, dai comunisti al PD, al No Global, ai radicali, al movimento per la pace etc etc etc
Siamo disillusi della possibilità di cambiamento reale, ma alla fine siamo talmente onesti da vedere che in fin dei conti non facciamo nulla di concreto per cambiare le cose.
Siamo convinti che continuare a gridare non serve (quasi) a niente.
Sentiamo il bisogno di “fare qualcosa” ma NESSUNO sa in concreto CHE cosa.
Questo è ciò che mi sembra.
La REALTA’ di questo “gruppo potenziale” è che ognuno vive una sua realtà ben diversa, quasi sempre a centinaia di chilometri l’uno dall’altro, eppure uno spirito comune ci accomuna.
Come fare a utilizzare questo potenziale di energie e non sprecarlo nell’autocommiserazione?
Come creare un gruppo che possa crescere in numero e in capacità di INTERVENTO sulla società?
Ritorna qui in gioco la mia passione per la scuola, o meglio il mio disgusto per la scuola e la passione per l’educazione.
Perché penso che soltanto l’educazione dei più giovani potrà aiutarci ad uscire dal tunnel e perché penso che riuscire a trasmettere la nostra esperienza sia molto difficile.
Voglio fare una premessa: NON SONO UN EROE. Credo che i “poteri forti” sono in mano a gente senza scrupoli, chiamiamoli mafiosi, corrotti, fascisti, comunisti, quello che vogliamo. Credo comunque che questi poteri dove vedono SERIAMENTE intaccati i loro interessi ECONOMICI sono disposti a commettere qualsiasi NEFANDEZZA per difendere il loro POTERE.
Io non voglio trovarmi nel loro MIRINO. Sono un vigliacco? Va bene. Ma come faccio a combattere una battaglia dove tutti sanno perfettamente nomi e cognomi dei boss, dei padrini, dei capi bastone, dei corrotti, dei corruttori, dei killer e NESSUNO vuole e può intervenire?
In Campania o in Calabria o in Sicilia rivolgersi alla Polizia o ai Carabinieri è PERICOLOSO. Questi “poteri” sono protetti e noi no siamo NESSUNO. Possiamo essere schiacciati come mosche come se niente fosse. E io vorrei continuare a RONZARE ancora un po’!
Detto questo, se solo nel mio piccolo riuscissi a dare un piccolo contributo per formare delle coscienze che iniziano a individuare in questo STRAPOTERE degli ASPETTI ECONOMICI all’interno della nostra società una specie di CANCRO che fa perdere di vista alla razza umana il SENSO della propria esistenza, penso che potrei essere contento di aver dato il mio umile contributo all’evoluzione.
Non mi piace parlare di BENE e MALE che si scontrano sulla Terra e dobbiamo decidere da che parte stare.
Mi piace vedere che ognuno di noi, in Occidente, NON HA SERIAMENTE il problema della sopravvivenza, eppure abbiamo TUTTI un vago senso di infelicità, di insoddisfazione.
Perché? E perché invece di trovare soluzioni a QUESTO problema cerchiamo sempre di risolvere problemi ECONOMICI?
La società insegna ai figli a crescere nel DISPREZZO di chi gli vuole più bene, cioè i genitori.
L’EMANCIPAZIONE dei figli passa attraverso la SEPARAZIONE dai genitori e questa separazione si conquista in modo ECONOMICO, cioè pensando che ciò che è VERAMENTE importante per il proprio EQUILIBRIO non è tanto la capacita di AMARE ed ESSERE AMATI, MA la possibilità di UNIFORMARSI al gruppo dei pari grazie a ABBIGLIAMENTO, TELEFONINI etc etc, cioè a BENI DI CONSUMO che manifestano ESTERIORMENTE il proprio BENESSERE.
Allora forse possiamo cercare di creare la MODA della NON-MODA!
Questa OSSESSIONE di distinguersi dagli altri grazie a un particolare ESTETICO come un orecchino o un tatuaggio o una maglietta particolare etc etc denota in realtà un vuoto di diversità INTERIORE.
Mi rendo conto che sto divagando troppo e questo discorso manca di CONCRETEZZA.
Cosa propongo di CONCRETO?
Un gruppo di studio e di OSSERVAZIONE.
Rapporti ECONOMICI e rapporti AFFETTIVI.
Restiamo pure chiusi dietro ai nostri monitor a picchiettare sulle tastiere. Però iniziamo ad OSSERVARE e a riportare queste OSSERVAZIONI in uno spazio che può essere questo blog o possiamo crearne uno nuovo appositamente.
OSSERVIAMO che TUTTI i giorni DOBBIAMO muoverci per risolvere il nostro quotidiano problema ECONOMICO, ma VOGLIAMO muoverci per ESPRIMERE i nostri SENTIMENTI, le nostre PASSIONI il nostro AMORE.
OSSERVIAMO che un ABBRACCIO o un SORRISO ci rendono molto più sereni di qualunque OGGETTO NUOVO che possiamo COMPRARCI!
Certo per COMUNICARE queste osservazioni bisogna rendere pubblica la nostra vita intima?
Non necessariamente. Possiamo scrivere di altri, o osservare noi ma scrivendo come se parlassimo di qualcun altro.
Creiamo gruppi di ricerca. Cerchiamo di trovare un senso allo stare insieme che non sia necessariamente legato a una protesta.
La sensazione era che semplicemente fosse bello essere lì tutti insieme.
Lo sapevamo tutti che non avremmo bloccato l’orribile decreto, ma poter essere insieme in un momento di unità collettiva era piacevole. Tutti ridevano e sembravano contenti!
Probabilmente qualcuno non sapeva neanche perché era lì ma, SEMPLICEMENTE ERA BELLO esserci.
Allora perché non creare momenti in cui RINUNCIAMO a essere insieme perché vogliamo cambiare il mondo, ma molto più realisticamente STIAMO INSIEME perché SIAMO GIA’ IL CAMBIAMENTO.
Non so se si capisce.
In pratica la PROPOSTA CONCRETA:
Creiamo gruppi che hanno il piacere e il desiderio di stare insieme.
Creiamo gruppi dove osserviamo aspetti ECONOMICI – come fonte di malessere – e aspetti AFFETTIVI – come fonte di benessere.
Creiamo gruppi dove le generazioni si incontrano – nonni, figli, genitori.
Creiamo gruppi di “sopravvivenza emotiva”.
Dimentichiamoci di distruggere il POTERE, creiamo semplicemente nuove fonti di benessere che non hanno interesse per ciò che il POTERE ci contrabbanda come il BENE SUPREMO.
Pensiamo a un FONDO alternativo al SUPERENALOTTO. I posti dove si gioca a questo super enalotto sono sempre più affollati! Quanti soldi vengono buttati via così?
Se soltanto un paese intero utilizzasse i soldi buttati via nel super enalotto con la chimera di un arricchimento INDIVIDUALE in un fondo per la costruzione di un PICCOLO PROGETTO COLLETTIVO la comunità potrebbe usufruire di molti benefici. Pensiamo soltanto a una biblioteca o ludoteca, se proprio ci piace giocare …
Pensiamo a un fondo dove mettere il denaro piuttosto che comprare le sigarette o la droga.
Creiamo spazi dove NON SAPPIAMO COSA FARE, ma vogliamo ESSERCI e SENTIRCI.
Non credo ad un sistema educativo basato sulla punizione e su tecniche comportamentiste ispirate agli esperimenti fatti sui cani dal famoso psicologo russo Pavlov.
Non credo che questi sistemi portino ad una reale crescita degli individui e alla soluzione di problemi.
Ma ovviamente, il nostro ministro dell’istruzione Gelmini, è di parere diverso, considerando che la soluzione proposta per far fronte al bullismo è in sostanza il 5 in condotta …
Ma su quali studi si basa questo rimedio? La Gelmini ha qualche minima nozione di psicologia? Qualcuno l’aiuta?
Io non lo so, però a giudicare dalle proposte, non direi …
Laddove esiste la violenza esiste anche un ambiente che, in qualche modo, la asseconda. Ed è proprio su quell’ambiente che bisogna soffermarsi se si vuole estirpare il problema della violenza alla radice, evitando l’utilizzo della forza e di punizioni più o meno efficaci.
Una ricerca apparsa sulla rivista Journal of Child Psychology and Psychiatry, e capitanata da Peter Fonagy dell’University College di Londra, ha dimostrato che il miglior modo per combattere il bullismo nelle scuole non sia quello di soffermarsi su coloro che compiono atti di violenza, né sugli studenti che ne sono vittima, quanto piuttosto su coloro che stanno ad osservare, studenti o professori che siano.
Utilizzando un nuovo approccio psicodinamico, il team di Fonagy ha sottoposto 4000 studenti di diverse scuole elementari a un programma della durata di tre anni in cui si invitavano gli stessi ragazzi a prendere consapevolezza del proprio ruolo nei confronti degli episodi di violenza, descrivendo e razionalizzando le proprie paure e il grado di empatia nei confronti degli studenti molestati. Nessuna punizione veniva inflitta a coloro che compivano atti di bullismo, e nessun tipo di supporto veniva offerto a coloro che subivano angherie. A tre anni dall’inizio del programma, i risultati dello studio hanno mostrato una significativa diminuzione degli episodi di violenza e di bullismo nelle scuole che avevano adottato il programma rispetto alle scuole di controllo, in cui gli studenti vittime di bullismo ricevano un supporto psicologico continuo.
Secondo Fonagy, la ricerca dimostra come la migliore arma contro il bullismo sia rappresentata dalla consapevolezza, sia del proprio ruolo che di quello degli altri, nei confronti degli atti di violenza. Nessun bisogno di intervenire come paladini della giustizia in aiuto dei compagni molestati, quindi, ma solo cercare di non chiudere i propri occhi, facendo finta di niente.
L’aggressività è una componente umana con la quale dobbiamo necessariamente convivere. Non ha alcun senso condannarla a priori e utilizzare un altro tipo di aggressione, come la punizione e il 5 in condotta, per evitare lo scatenarsi di un’aggressività incontrollabile e con conseguenze a volte drammatiche.
Accettare e iniziare a gestire l’aggressività sembra essere la formula giusta per evitare il dilagare di un fenomeno che sembra più collegato con la incapacità ipocrita degli adulti di accettare qualsiasi forma di aggressività.
In realtà gli adulti continuano ad aggredire e minacciare i ragazzi, specie nella scuola, dove la minaccia del voto, della nota, del 5 in condotta etc etc è in definitiva il maggiore strumento per cercare di contenere l’esuberanza degli studenti.
Invece la possibilità di essere aggressivi, senza per questo fare realmente male a qualcuno, non è contemplata. Si fa semplicemente finta che l’aggressività sia una cosa brutta di cui vergognarsi e con la quale non si può convivere (come la sessualità, del resto)
E’ necessario molto spazio per questi temi, nella scuola!
Ma, ahimè, temo che chi voglia occuparsene seriamente rischia soltanto un bel 5 in condotta!