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Spezzagli le gambe! Lo sport, l’esempio e la buona educazione.

“Spezzagli le gambe, ammazzalo”, grida il genitore.

spezza gambe

Lo scenario è quello d’una partita di campionato giovanissimi a Torino. L’urlatore è un assiduo frequentatore di spalti della provincia il cui erede suda, sbuffa e corre sull’erba spelacchiata  dove le promesse del calcio subalpino si fanno le ossa. L’amore paterno lo vede già calcare ben altri palcoscenici calcistici, firmare contratti ricchi di zeri e di garanzie, dichiarare al microfono di qualche giornalista: “L’importante non è che io abbia segnato, l’importante è che la squadra vinca”.

fallaccio3

Ma, prima di arrivare a tale sincera sublimazione morale, il ragazzo dovrà spezzare tante gambe e calpestare tanti coetanei, magari dotati quanto o più di lui, magari persino più bravi a giocare al pallone.

Non importa: bisogna arrivare in alto, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi costo.

“La situazione, nel nostro mondo, non è mai stata idilliaca”, spiega un direttore sportivo. “Negli ultimi anni – aggiunge – alcuni atteggiamenti sono peggiorati, ma devo dire che non sono una novità, purtroppo”. Eppure scoprire la situazione è scioccante. Ci sono i papà disposti a “minacciare gli altri genitori, il cui figlio ha preso il posto da titolare al loro. In qualche caso si è anche arrivati alle mani, perché chi vede il figlio andare in panchina non riesce a credere che ci sia qualcun altro che sa giocare meglio. La mentalità secondo cui, anche a scuola, se il maestro o il professore riprende il pargolo oppure gli affibbia un voto basso, non sta cercando di istruirlo ed educarlo, ma lo sta semplicemente angariando senza alcun motivo.
Nel mondo del calcio, dove il denaro facile pare alla portata di tutti e dove il successo rapido è ambito da papà e mamme di qualsiasi brocco, questi comportamenti diventano devastanti.

“Dopo aver visto un paio di partite in cui giocano bambini di 7-8 anni e i genitori urlano come pazzi, le assicuro che si resta male. C’è una sorta di guerra psicologica che spesso i papà fanno a ‘sti bambini. Non accettano errori, gli gridano di stare in quella posizione, di marcare così e cosà, di controllare meglio la palla”.
“In alcuni casi – racconta un altro addetto ai lavori che opera a Torino – ci sono le mamme disposte ad avere rapporti sessuali con l’allenatore di turno, pur di sostenere il posto in squadra del figlio, che magari rischia di finire in panchina. Non sono dicerie, purtroppo, sono fatti che avvengono più spesso di quanto si possa pensare. Oddìo, non possiamo escludere – sorride – che ci sia la mamma che va con l’allenatore perché le piace, ma mi creda che invece l’aspetto della convenienza esiste eccome”.
“In molti quartieri torinesi il calcio è l’unico appiglio per un’affermazione nella società – spiega un allenatore – era inevitabile, dunque, che il mercato, le multinazionali, i propulsori del consumismo
galoppante, non considerassero questo mercato, un esercito di piccoli consumatori, ai quali, oltretutto, è difficile negare qualcosa”.
Non c’è più la divisa sociale, una sorta di democratico simbolo d’appartenenza. Anche nell’abbigliamento bisogna distinguere il proprio figliolo dagli altri. E così si acquistano materiali, indumenti e gadget, che da un lato soddisfano la smania dei genitori, dall’altro avviano precocemente l’attenzione del bambino verso il marchio, la griffe; il merchandising delle maggiori società di calcio prevede un’ampia sezione dedicata ai più piccoli. “Per fortuna, esistono ancora genitori normali – dice il direttore sportivo – che vivono il momento ludico e agonistico come occasione di crescita e di formazione del carattere, ma si trovano persone che vedono nella scuola calcio un’ottima alternativa al ‘baby parking’, o, di contro, genitori fanatici, i tifosi incalliti. Genitori che, travolti dalla delirante enfasi agonistica, sono pronti ad insultare i propri o gli altrui figlioli. Padri di famiglia capaci di trasformarsi in bestie, pronte ad avventarsi sul malcapitato arbitro. Io e i miei colleghi facciamo molta fatica a stigmatizzare i loro atteggiamenti senza offendere la loro ‘sensibilità’. Il fatto è che i bambini, sempre più precocemente, cercano di imitare gli adulti in quelle manifestazioni estreme di aggressività tipiche di un agonismo non certo infantile: risse, bestemmie, sputi eccetera sono ormai in agguato anche in partite tra bambini di dieci anni”.
Durissima la testimonianza di un ex allenatore che chiede, come tutti gli altri intervistati, l’anonimato: “Purtroppo il calcio giovanile è profondamente inquinato dai soldi e da strani personaggi che come gli avvoltoi girano intorno alle carogne. La meritocrazia è l’ultima cosa che conta: quantomeno nello sport si sperava che valesse qualcosa, invece vanno avanti i figli dei genitori più importanti o
d i quelli che riescono a instaurare il miglior rapporto con la società”. E continua, quasi infuriato: “Ci son scuole calcio, che, anche nella nostra regione, sono diventate per la gran parte dei luoghi di
raccolta e drenaggio di denaro sia con le iscrizioni dei più piccoli, sia con il passaggio (premio di avviamento) dei giovani giocatori a società professionistiche, semiprofessionistiche o anche dilettantistiche”.
Non mancano ovviamente le società serie, le persone perbene, i genitori che ancora mettono il valore formativo davanti alla carriera, il lavoro svolto in modo disinteressato e per il futuro dei giovani.
“Ma qualcosa si è rotto, mi creda – aggiunge – alcuni atteggiamenti che ci sono sempre stati si stanno però diffondendo a macchia d’olio. E purtroppo stanno diventando quasi normali, la gente si è assuefatta e li considera persino scontati, neppure si scandalizza”. Come il genitore che impone al proprio figlio di non passare mai la palla a quel compagno che potrebbe diventare più forte oppure segnare più reti di lui, o come il papà che elargisce un forte contributo alla società pur di veder giocare come titolare il pargolo: “Ma a volte si tratta di autodifesa – spiega un genitore – perché magari un ragazzino di famiglia normale, che non abbia una banda pronta a farsi giustizia sommaria alle spalle, rischia di essere messo sotto dall’ambiente. E allora, lo ammetto, ho cercato di tutelare mio figlio da palesi soprusi”.
Secondo un direttore sportivo, “certi atteggiamenti malsani sono purtroppo frequenti anche tra gli allenatori. Per questo sono convinto dell’importanza di una formazione adeguata dei tecnici giovanili. Chiunque, e questo lo si può facilmente verificare, può improvvisarsi allenatore, ma educare attraverso il gioco del calcio è un’altra cosa. La scelta è comunque sempre dei genitori. I problemi sorgono quando si perde di vista l’obiettivo primario della scuola calcio; certamente la vittoria non è lo scopo principale, ma farlo capire agli stessi genitori è spesso impresa ardua”. “Ma a me è capitato sovente – ribatte l’allenatore – di dovermi difendere da aspre critiche, perché, invece di far giocare i più capaci, ho preferito mandare in campo a rotazione tutta la rosa a mia disposizione, infischiandomene del risultato. Persino i genitori dei bambini meno dotati, talvolta avrebbero preferito una vittoria piuttosto che vedere il proprio figlio rimediare una sconfitta. E invece i bambini non sono neanche sfiorati dall’idea che qualcuno possa o debba restare in panchina, visto che una delle prime cose che ho insegnato loro è che tutti devono avere la possibilità di giocare”.
La via per il successo nel calcio è lunga ed impervia, questo si sa. E per successo s’intende anche un contratto in serie C, dove un giovane ha la possibilità di guadagnare stipendi che lavorando normalmente neppure potrebbe sognarsi. Ma, pur con tutte le squadre e le categorie professionistiche e non a disposizione, solo uno su mille ce la fa. E non sempre, verrebbe quasi da dire raramente, questi fortunati sono i migliori.
Spesso si tratta dei più raccomandati, quelli con i parenti più facilmente manovrabili, quelli che meglio si piazzano grazie ad abili maneggioni senza scrupoli ma con spiccato senso degli affari, talvolta in società senza alcuna programmazione del settore giovanile, ma solo per far quadrare un certo tipo di bilancio. “Va pure detto – chiarisce un altro addetto ai lavori – che negli ultimi anni l’investimento
sul giovane promettente, in un giusto e calcolato rischio di impresa, è merce davvero rara. Non si consente più al ragazzo di fare i suoi errori nell’attesa della preventivabile maturazione fisica e psichica come si faceva un tempo. Oggi si pretende il quindicenne già con fisico gladiatorio anche a costo di aiuti chimici. I fondamentali? Il tocco di palla? Ma chi se ne frega, basta che corrano e che picchino come fabbri ferrai”.

Fonte: Però N.30 16 Ottobre 2009(pag 19)  scarica il PDF

Si ringrazia Dario Lesca per la preziosa segnalazione

L’articolo si commenta da solo. Che dire? La mia esperienza con i miei figli che hanno praticato uno sport minore è molto simile, purtroppo. Con tanto di sponsorizzazioni e di seduzioni non casuali …

Difficile parlare poi di buona educazione …

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PERO
gadget, che da un lato soddisfano la smania
dei genitori, dall’altro avviano precocemente
l’attenzione del bambino verso il
marchio, la griffe; il merchandising delle
maggiori società di calcio prevede un’ampia
sezione dedicata ai più piccoli.
“Per fortuna, esistono ancora genitori normali
– dice il direttore sportivo – che vivono
il momento ludico e agonistico come
occasione di crescita e di formazione del
carattere, ma si trovano persone che vedono
nella scuola calcio un’ottima alternativa al
‘baby parking’, o, di contro, genitori fanatici,
i tifosi incalliti. Genitori che, travolti
dalla delirante enfasi agonistica, sono
pronti ad insultare i propri o gli altrui figlioli.
Padri di famiglia capaci di trasformarsi
in bestie, pronte ad avventarsi sul
malcapitato arbitro. Io e i miei colleghi facciamo
molta fatica a stigmatizzare i loro atteggiamenti
senza offendere la loro
sicuro che si resta male. C’è una sorta di
guerra psicologica che spesso i papà fanno
a ‘sti bambini. Non accettano errori, gli gridano
di stare in quella posizione, di marcare
così e cosà, di controllare meglio la palla”.
“In alcuni casi – racconta un altro addetto
ai lavori che opera a Torino – ci sono le
mamme disposte ad avere rapporti sessuali
con l’allenatore di turno, pur di sostenere il
posto in squadra del figlio, che magari rischia
di finire in panchina. Non sono dicerie,
purtroppo, sono fatti che avvengono più
spesso di quanto si possa pensare. Oddìo,
non possiamo escludere – sorride – che ci
sia la mamma che va con l’allenatore perché
le piace, ma mi creda che invece
l’aspetto della convenienza esiste eccome”.
“In molti quartieri torinesi il calcio è
l’unico appiglio per un’affermazione nella
società – spiega un allenatore – era inevitabile,
dunque, che il mercato, le multinazionali,
i propulsori del consumismo
galoppante, non considerassero questo mercato,
un esercito di piccoli consumatori, ai
quali, oltretutto, è difficile negare qualcosa”.
Non c’è più la divisa sociale, una
sorta di democratico
simbolo d’appartenenza.
Anche nell’abbigliamento
bisogna
distinguere il proprio
figliolo dagli altri. E
così si acquistano materiali,
indumenti e

Quando la realtà supera la fantasia!

Ho ricevuto una email da Dario Lesca, un amico dell’Open Source e della filosofia della condivisione, che volentieri pubblico:

Bambini contenti

Vi racconto una storia, solo al temine vi dirò se è vera o me la sono
inventata di sana pianta.

Anno 2009, Ivrea, Scuola Elementare, Classe Prima, Riunione di classe di
inizio anno scolastico.

Maestra: “Quest’anno il programma educativo sarà basato sui valori
sostenibili … di aiuto per i più deboli…. insegneremo come la
Solidarietà e la Condivisione possano fare molto per questa società …
parleremo ai bimbi di come convivere col prossimo e risolvere le
questioni in modo pacato, tramite il dialogo piuttosto che con la lotta
e la prepotenza .. ecc …”

Si alza una Mamma: “Scusate ma io non sono affatto d’accordo con questo
metodo di insegnamento da “Sfigati”, macché solidarietà! … macché
disabili… Io a mio figlio insegno che deve essere il più forte, e
perciò deve lottare… Basta buonismo, non perdiamo tempo… Mio figlio
va a calcio, anche li gli insegno che deve darci dentro e farsi valere
per essere il migliore…”

Si alzano altre Mamme: “Si! Giusto! anche noi la pensiamo così…. siamo
d’accordo con la signora… altro che buonismo… Tutte
Stupidaggini …”

A questo punto la Mamma che mi ha raccontato questo, e che
sostanzialmente si trovava d’accordo con le maestre, era letteralmente
allibita, ha tentato di dire la sua ma era in minoranza.

Morale:

Dopo anni di Televisione e Politica Spazzatura, di grandi Fratelli, di
Tette e Culi, di Escort e Trans … ecco cosa ci ritroviamo.

Genitori rovinati, che di conseguenza alleveranno figli sintonizzati su
valori errati di vita.

Ci aspetta un bel futuro!

Ciao.

P.S.: La storia purtroppo è VERA!

Ciau Nè!

Grazie Dario! Vorrei non dover più leggere storie come queste, ma temo che non sarà facile.

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Con dolore partorirai figli: il caso di Simona !

S. segnala e volentieri pubblico:

basta

Abortire un figlio forse sano o tenerlo con la probabilità di lasciarlo sopravvivere in stato vegetativo. Questa la scelta che la legge italiana impone a molte mamme.
Simona Galiero, giovane dentista di Sant’Anastasia in provincia di Napoli, si trova davanti a questo bivio.

Il 6 Agosto scorso – alla 20esima settimana – durante l’ecografia strutturale di routine è stata riscontrata un’anomalia del feto.

“Ventricolomegalia borderline e la consapevolezza che si potrà riscontrare al 100% la persistenza della patologia solo alla 27esima settimana. Sai cosa significa? C’è la possibilità che mia figlia nasca con gravissimi problemi, tanto gravi da renderla un vegetale, e qui in Italia devo abortire prima di averne  l’assoluta certezza!”

La 22esima settimana è infatti il termine ultimo per poter praticare l’aborto terapeutico (salvo non si verifichi un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna).
Un paradosso infinito che impone ad una madre già provata psicologicamente per la notizia subita, una prospettiva di sofferenza ancor più grande, l’esposizione forzata ad una scelta disumana, la solitudine più assoluta.
E non è tutto. La tecnica abortiva in questi casi consta nell’induzione al travaglio per espellere il feto. Un vero e proprio parto con tanto di classiche contrazioni, la possibilità di subire ore o perfino giorni di travaglio, nessun farmaco anestetico. Senza contare che nel caso il bimbo nasca vivo i medici sono obbligati a soccorrerlo, tenendolo agonizzante anche per giorni, in attesa che la sua morte avvenga in modo naturale.

“È Un calvario, una vera è propria tortura. Non solo dobbiamo morire di dolore per la scelta che facciamo, costrette per le condizioni disperate di salute del nascituro, ma anche per la modalità in cui tutto ciò si svolge. Siamo carne da macello.”

L’essere incinta di una bambina destinata a soffrire, la responsabilità di dover decidere per lei, la mancata terapia del dolore atta ad attenuare almeno la sofferenza fisica, il subire violenza psicologica da parte di chi dovrebbe trattarti con doppia sensibilità, il dolore del distacco dal figlio tanto atteso, l’aberrante situazione di subire un aborto gestito da medici obiettori.
Sofferenza che si aggiunge a sofferenza, un vortice di dolore causato anche dal taglia e cuci e dai rattoppi frettolosi con cui la 194 (legge sull’aborto) è stata trattata negli ultimo 20 anni.
E pensare che nei paesi in cui i diritti della persona sono veramente garantiti si può di interrompere la gravidanza nei tempi che occorrono e per di più non si è costretti a sottoporsi a torture atroci: la praticata standard è quella dell’aborto intrauterino.
È per questo che molte donne decidono di infischiarsene della legge italiana e di rivolgersi all’estero con tutti i problemi che ciò comporta (scelta della struttura, problemi con la lingua, l’assistenza medica e psicologica, i costi, etc).

E chi non può permetterselo? Torniamo sempre lì.

Abortire un figlio forse sano o tenerlo con la probabilità di lasciarlo sopravvivere in stato vegetativo. Questa la scelta che la legge italiana impone a molte mamme.
Simona, brillante dentista di Sant’Anastasia (NA), si trova sola con il suo problema.

Sola per colpa di una legge che non si cura minimamente di una mamma che ha un disperato bisogno di aiuto.

Sola per colpa di carnefici che in nome di una morale superiore si divertono a giocare sul suo corpo e sulla sua vita.

Viae (pseudonomio di una giornalista di DiamoUnaMano)

(diffondi questo articolo su blog, forum, giornali online… che si sappia qual’è la situazione in Italia… Simona Galiero la trovi su facebook)

Tratto da:

DiamoUnaMano

dove troverai l’articolo completo con l’intervista a Simona …


Appello anti-razzista ai genitori

Il contrasto, il bianco e nero e la diversità sono un patrimonio prezioso …

bianco e nero  - 2006  Ornella Erminio
bianco e nero - 2006 _ foto di Ornella Erminio

… non soltanto in fotografia

Ho trovato in rete questo appello di un’associazione di genitori adottivi che mi sento di condividere e aiutare a diffondere

= = =

Caro genitore,

siamo un’associazione di famiglie adottive che ha posto al centro della propria attività la responsabilizzazione dei genitori come premessa fondamentale per la tutela dei bambini e delle bambine. L’esperienza dell’adozione ci ha portati a riflettere profondamente sul ruolo genitoriale, non solo in relazione all’adozione ma più in generale rispetto al compito educativo ed alle ricadute che l’agire educativo ha nella società. In questi ultimi tempi ci sentiamo preoccupati e spaventati dal moltiplicarsi di episodi di razzismo nel nostro paese.

Pensiamo che tacere, alla lunga, significhi diventare responsabili o quantomeno complici di una società violenta  e intollerante. Pensiamo che molti genitori, oggi, si stiano chiedendo con forte preoccupazione quale futuro, quale mondo, si stia prospettando ai loro figli. Pensiamo che molti genitori stiano cercando di dare ai propri figli un’educazione basata sui valori del rispetto, dell’accoglienza, della tolleranza. Pensiamo che molti genitori vogliano trasmettere ai propri figli l’amore e la passione per la cultura, facendoli crescere in un ambiente aperto alle idee, alle differenze, alle esperienze, senza barriere e preclusioni, senza pregiudizi. Pensiamo che nel mondo che molti genitori vorrebbero per i loro figli ci sia posto per tutti, nel principio del rispetto e della solidarietà. Pensiamo che molti genitori siano impegnati a far crescere i loro figli, rendendoli cittadini del mondo, persone capaci di conoscere e imparare, viaggiando in altri paesi,  studiando i libri di storia, ma anche – nella propria scuola, al parco, per la strada –  mantenendo la capacità di costruire amicizie, di ascoltare con sincera curiosità ciò che l’altro ha da raccontare. Pensiamo che per molti genitori l’antirazzismo non debba restare una parola astratta, ma che al contrario, nella quotidianità, molti genitori stiano cercando di praticarlo attraverso le scelte educative rivolte ai propri figli.

Se ti riconosci in questo modo di essere genitore, ti proponiamo alcuni suggerimenti, una piccola goccia nel mare per costruire il mondo che vorremmo per i nostri figli:

· Fai attenzione alle parole, alle etichette, alle barzellette o alle battute poco rispettose: i bambini imparano tutto, si sa. Il tuo modo di parlare si traduce nel modo di pensare di tuo figlio.

· Trasmetti a tuo figlio la memoria, quella di un passato non lontano, quando dall’Italia si partiva per migrare in paesi poco accoglienti.

· Organizzati con altri genitori e chiedi agli insegnanti di tuo figlio di organizzare percorsi e laboratori sul tema della pace e della multiculturalità: molte associazioni e organizzazioni propongono con competenza progetti rivolti alle scuole.

· Se in classe di tuo figlio è iscritto un bambino immigrato anziché preoccuparti che il livello della classe diventi più scadente, invitalo a pranzo e regala a tuo figlio l’esperienza di arricchimento che ogni incontro racchiude.

· Non parlare sempre di cittadini extracomunitari per sottolinearne il disagio o la marginalità: leggi con tuo figlio fiabe e storie di altri paesi, ascoltate insieme musiche, filastrocche e ninnananne di altri paesi, partecipate alle feste multietniche, assaggia e proponi a tuo figlio altri sapori, altri odori, ricette di altre parti del mondo.

· Sollecita la curiosità e la riflessione sui temi della multiculturalità: esistono molti libri di fiabe e racconti rivolti a tutte le età, anche della prima infanzia, che aiutano a farlo con i propri figli.

· Se tuo figlio è grandicello (solo tu puoi stabilire quando è giunto il momento) leggi il giornale con lui e soffermati su questi temi. Aiutalo a capire, accompagnalo a formare il proprio pensiero, libero dagli schemi e dai luoghi comuni.

Se desideri approfondire questo tema o se hai bisogno di informazioni per applicare questi suggerimenti, ti invitiamo a visitare il sito www.genitorisidiventa.org dove troverai tanto materiale (recensioni di libri, percorsi bibliografici, documenti) o chiedi delucidazioni scrivendo alla mail scuola@genitorisidiventa.org.

Associazione Genitori si diventa Onlus

Iscritta al registro regionale lombardo del volontariato al n. 2789 A

Sede Legale: Via C.E. Gadda, 4 – 20052 Monza – Codice Fiscale 94578620158

info@genitorisidiventa.org www.genitorisidiventa.org

= = =

E’ incredibile come in Italia si continui a discriminare la diversità mentre negli Stati Uniti si sta per eleggere Barak Obama in una posizione  che è forse la più potente della Terra. A soffrire il razzismo non sono soltanto gli immigrati ma anche tutti coloro che sentono apostrofare gli altri con i termini più insulsi, come “handicappato” o “mongolo”.

Certo, per i ragazzi è soltanto uno scherzo! Ma quanta sofferenza può produrre questo scherzo? E quasi sempre in modo del tutto inconsapevole per chi pronuncia parole semplicemente fuori luogo?

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I NOSTRI FIGLI CHIAMATI “NEGRI”

Vorrei la pelle nera !

Ma voi siete d’accordo?

Un Clic QUI per leggere e scaricare La Ragnatela del Grillo !

La protesta civile e colorata può battere un governo triste e grigio

Ero a Roma il 30 Ottobre per lo sciopero contro il decreto Gelmini sulla scuola.

Quanti colori, musica. Una gioia di ritrovarsi insieme in modo spontaneo che non vedevo da tantissimo tempo. Questo stare INSIEME era ben diverso dal movimento degli anni ’70, sempre nervoso, sempre aggressivo, sempre schierato dietro alle bandiere rosse.

C’erano tanti colori il 30 Ottobre a Roma! Anche il rosso, certo, ma non era per niente prevalente!

C’erano cartelli fatti a mano! C’erano giocolieri ed artisti di strada! C’erano musicisti! Insegnanti e genitori venuti da lontano! Studenti composti e allegri, nonostante le mazzate tirate dalla Gelmini!

E un sorriso accomunava tutti!

Questo sorriso, se sapremo mantenerlo, ci porterà lontano!

La legge della Gelmini impone il grembiule per i bambini? Ok! Ma non impone che debba essere tutto di un colore!
Allora lasciamo colorare ai bambini i loro grembiuli e facciamoli diventare un segno di creatività!
Il grembiule vorrebbe rendere i bambini tutti grigi e tutti uguali!

Ma a noi piace la diversità!

A Roma il 30 Ottobre era impressionante tutto il colore che c’era.

La gioia e la voglia di stare insieme! Tutto questo non può sciogliersi nel nulla.

Si potrebbe mettere un bel grembiule colorato anche alle superiori!

Sarebbe un bel segnale per manifestare un dissenso che coinvolge tutta la società !

Non permettiamo al grigio di avere il sopravvento sulla vita colorata dei bambini e dei ragazzi!


Molti colori! Molte idee!

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un clic e …

FIRMIAMO CONTRO IL MAESTRO UNICO

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NO al Maestro UNICO!

un click e …

FIRMIAMO CONTRO IL MAESTRO UNICO

Sembra che la chiusura del governo verso la scuola sta suscitando qualche protesta.

Alcune notizie sono confortanti, come 30.000 persone a Torino, anche se sui giornali non se ne trova notizia… (o quasi…)

Altre meno.

Per esempio: alla convocazione dei genitori per le elezioni dei rappresentanti erano presenti ieri una ventina di genitori su una popolazione di circa 500 studenti.

E’ soltanto un esempio della scarsissima partecipazione. Sembrano notizie contrastanti.

Ma forse proprio dal mondo della scuola può nascere quella spinta verso una innovazione che tutti auspicano. In fondo l’unica data che si ricorda ancora come segno di cambiamento è ancora il ’68 di 40 anni fa.

Con i suoi pro ed i suoi contro. Spero soltanto che le forme di protesta e le proposte di cambiamento assumano toni veramente CIVILI e CREATIVI allo stesso tempo, senza MAI trascendere in forme violente che NON SERVONO a niente e a nessuno, se non a creare isolamento …

Senza partecipazione non abbiamo speranza di cambiare !

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