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Scuola? Buttiamola via!

In questi giorni seguo ragazze che sono sotto esame: terza media e maturità.

Le storie che raccontano sono incredibili.

Ne estraggo qualcuna, a caso.

Esame di matematica scritto alle medie. Il prof, con  il quale non si è fatto praticamente nulla durante l’anno, aiuta tutti a fare il compito mentre il commissario legge tranquillamente il giornale.

Alle superiori il compito proposto non ha alcuna attinenza con il programma svolto nel corso dell’anno e i docenti, comprendendo il disagio degli studenti, aiutano in tutti i modi.

Il commissario sta fuori dall’aula, leggendo il giornale, bevendo caffè e fumando sigarette. E’ stato sentito dire “Adesso voglio proprio vedere che mi fa la Gelmini!”

La sensazione generale è che il Ministero abbia voluto proporre prove difficili nella speranza di stangare un po’ di studenti, ottenendo però l’effetto contrario, cioè un’alleanza tra docenti e studenti al fine di superare tranquillamente una prova d’esame che tutti (o quasi) considerano una semplice formalità.

Qualche considerazione è doverosa.

Tutta questa farsa che attinenza ha con la realtà? Potranno sempre i nostri ragazzi trovare una via per sgattaiolare i problemi, per superarli senza impegnarsi?

Questa è solo la domanda più banale, una domanda che sottintende un’accettazione del sistema scuola come sensato, nel suo essere luogo di apprendimento e di valutazione, dove ogni azione tende alla conquista del voto, unica meta del percorso scolastico.

Ma si insegna anche l’inutilità dell’impegno, la falsità. Si impara a non avere fiducia nelle proprie capacità, poiché magari qualcuno ha speso un intero anno scolastico per acquisire alcune abilità inutilmente, visto che gli viene richiesto tutt’altro.

Ma non ha forse visto bene Giovanni Papini, quando scriveva un breve saggio nel 1914: Chiudiamo le scuole.

Libretto ritrovato oggi rovistando in fondo ad un vecchio cassetto dimenticato.

“Diffidiamo de’ casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi. Codeste pubbliche architetture son di malaugurio: segni irrecusabili di malattie generali. Difesa contro il delitto – contro la morte – contro lo straniero – contro il disordine – contro la solitudine – contro tutto ciò che impaurisce l’uomo abbandonato a sé stesso: il vigliacco eterno che fabbrica leggi e società come bastioni e trincee alla sua tremebondaggine.”

(…)

Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall’insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che spesso non erano stati a scuola o non v’insegnavano. Sappiamo ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali.

(…)

Essa non è, per sua natura, una creazione, un’opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest’ultimo ufficio – perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori.
Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istruiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi.
Quali?
Per i genitori, nei primi anni, sono il mezzo più decente per levarsi di casa i figliuoli che danno noia. Più tardi entra in ballo il pensiero dominante della “posizione” e della “carriera”.
Per i maestri c’è soprattutto la ragione di guadagnarsi pane, carne e vestiti con una professione ritenuta “nobile” e che offre, in più, tre mesi di vacanza l’anno e qualche piccola beneficiata di vanità. Aggiungete poi a questo la sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare impunemente, in capo alla vita, qualche migliaio di bambini o di giovani.
Lo Stato mantiene le scuole perché i padri di famiglia le vogliono e perché lui stesso, avendo bisogno tutti gli anni di qualche battaglione di impiegati, preferisce tirarseli su a modo suo e sceglierli sulla fede di certificati da lui concessi senza noie supplementari di vagliature più faticose.”

Potete leggere tutto il brano QUI, scaricandolo.

Sono poche brevi pagine, ma ancora decisamente attuali.

Potremmo davvero pensare a soluzioni totalmente diverse a questa esperienza che senza ombra di dubbio sembra essere più dannosa che utile.

O no?

🙂