Scambio di email con Paolo Barnard

In seguito all’articolo pubblicato ieri,

Pavidi schiavi o complici benestanti ? Commentando Paolo Barnard …

ho avuto uno scambio di mail con Paolo Barnard, che ripropongo nudo e crudo:

P.Barnard scrive:

Il AAA cercansi era volutamente grottesco, siamo in una situazione grottesca dove il Sistema si fonde in un abbraccio manifesto con l’Antisistema che persino  batte il Sistema in ipocrisia e scandalo. Pochi hanno capito, eppure non era difficile porsi la domanda “Ma come può uno come Barnard sbottare così?” e rispondersi con ipotesi meno superficiali della semplice provocazione o dell’Hacker fantasma o di una mia pazzia. Pace, esperimento non riuscito. P.B.

Non rispondo e non dialogo perché il confronto lo abbiamo fatto alla nausea della nausea. Bisogna FARE!!!!! basta fare i rivoluzionari della tastiera. Ciao B.

Io replico:

quando si comunica occorre pensare che il prossimo possa capire.

se non capisce bisogna, secondo me, s’intende, essere disponibili a spiegare meglio

per FARE occorre ORGANIZZAZIONE

il singolo diventa facilmente isolato, un bersaglio.

Il sistema non ha neanche bisogno di attaccarlo, cade in depressione da solo.

Io, tu, Roberto etc ne siamo la prova vivente.

Vuoi FARE?

Proponi un progetto, piccolo piccolo, concreto concreto, e lavoriamoci su …

Io ho le ruote sgonfie più di te, sono senza benzina e pressocché da rottamare …

Una cosa piccola, con tempo sufficiente per vederla realizzare, magari tra un anno. Ma un obiettivo che sia alla portata di tutti noi, non un volo per la luna …

Ciao

Giorgio

E Paolo ancora:

Caro Giorgio, ho proposto progetti dettagliati per anni, ho fatto gruppi da stancarmi. Cavato nulla. Sono alla fine dell’impresa, non ci credo più. Ciao B.

E io ancora:

ok,

ma allora smettila di dire

basta ho finito

concluso

vado per altre strade

e poi continuare a scrivere

e sperare

e accusare

e vomitare

che cazzo lo fai a fare?

Tanto non risponderai, o con la solita telegrafia   …

Ti sei mai chiesto se il tuo comportamento è causa di frustrazione anche per qualcun altro, oltre che per te?

Ciao

Con affetto, con rabbia e con voglia di andare affanculo

E Paolo:

Guarda che io non sto scrivendo più, e quello che ho fatto sono stati solo atti dovuti per rispondere a una diffamazione e per concludere il percorso sul mio sito in modo comprensibile. Sto dando gli ultimi ritocchi prima di chiudere casa decentemente. Io non posso fingere di credere a qualcosa solo per non frustrare qualcun altro. Ciao B.

E io:

e “pavidi” l’ho scritto io?

per te è tutto facile e tutto impossibile

ogni tanto tiri la corda dello sciacquone sperando di poter finire lì

poi le mani ti prudono e non riesci a stare fermo

perchè tu non ti sei arreso dentro di te, ed è normale che sia così

allora non ha senso alzare la bandiera bianca e poi sparare ancora qualche cartuccia, diventa sadomasochismo

berlusconi, qual’è il problema? Una macchina da guerra di comunicazione da miliardi di euro pronta a colpire ovunque, ecco dov’è il problema …

giusto per fare un esempio

chi ha combattuto con il mitra in mano ha perso, ed era giusto così

ma chi combatte soltanto per tenere accesa la luce della ragione, forse ha un dovere civico di tenere acceso anche un piccolo cerino.

forse un giorno il suo sforzo verrà compreso

forse

un giorno

Ciao

P.S. Magari pubblico il nostro scambio, immagino tu non abbia nulla in contrario …

E Paolo, infine:

Nulla in contrario. Ciao B. p.s. Berlusconi non è il problema.

PUNTO.

P.S.  Ho trovato un cartello che forse può aiutare Paolo a chiudere il suo sito:

chiuso_per_tristezza

O no?

🙂

Vai a leggere e scaricare La Ragnatela del Grillo

4 pensieri su “Scambio di email con Paolo Barnard

  1. Ciao Giosby,
    approfitto di questo tuo spazio e di questo scambio di mail per uno sfogo personale. Scusa, magari non è il luogo adatto, ma oramai son partita, non torno indietro. Dominare gli istinti non fa parte di me.
    Comincio dal principio.
    La prima lettera di Barnard in cui denunciava la censura a cui è stato sottoposto è stata una gran bella coltellata. Hai presente quando vedi chiaramente davanti a te che il sogno di una vita (per quanto breve) che stai portando avanti e che sembra vicino perché lo hai toccato con mano (credevi) svanisce, si disintegra? L’ho odiato con tutta me stessa. Lo sa benissimo anche se non ha mai capito il perché.
    Ho anche fatto finta di continuare a sperare che le cose potessero in qualche modo cambiare, di razionalizzare, di proporre dei punti fermi per una vera libertà d’informazione etc. Pensa che scema! Ero convinta o meglio convincevo me stessa che quella libertà potesse essere veramente alla base di un cambiamento sociale. Con un gruppo di persone abbiamo contattato Giulietto Chiesa, ci ha promesso un’intervista, l’ha fissata poi rimandata all’infinito. I vari contatti che avevamo si sono rivelati subito fallaci. Rischiare sulla propria pelle mai, sempre su quella altrui.
    Oramai era tardi, la consapevolezza chiusa in un cassetto era uscita fuori, non si poteva più nascondere.
    In Italia ognuno protegge le proprie saccocce passando sulla vita di tutto e tutti. L’egoismo regna sovrano sulla ragione. Per forza deve essere stata accantonata! Come si fa altrimenti a non capire che per il proprio bene si debba necessariamente passare per il bene altrui (e parlo sia di cose effimere come i sentimenti sia di cose materiali e tangibili).

    È stato creato un gruppo che si è frantumato al primo egoismo personale. Ognuno con le proprie psicosi che sovrastavano qualsiasi ragione, qualsiasi dato di fatto, che frustravano qualsiasi progetto.
    Di questo gruppo ha fatto parte anche Barnard e quindi capisco benissimo, data l’esperienza veramente avvilente (per lui sicuramente non la prima), quando dice di aver perso la voglia del confronto (anche se poi si confronta lo stesso per fortuna; come dici tu le mani prudono e la tastiera a volte qualche piccolissimo sollievo riesce a darlo).
    Anche perché il web non è la vita reale e organizzare, fare, dettagliare solo attraverso uno schermo è molto semplice quanto poco producente. Nonostante il fallimento in quel gruppo qualcuno aveva avvisato della velleità di internet, altri avevano espresso il bisogno e la voglia di estendere la cosa fuori, scendendo in piazza a parlare con la gente, ognuno nel proprio piccolo per cercare di formare una rete (nonostante dica che proposte di azione vera le abbia ricevute solo da un americano).

    Una cosa però rimane, le premesse erano chiarissime a tutti: risultati nel breve tempo non ne avremmo mai visti (forse neanche nell’arco di tutta una vita), si doveva “lavorare” anche nei grigi pomeriggi invernali quando la sbornia iniziale per un progetto svanisce.

    Ora si è arrivati alla frustrazione totale, all’annientamento, all’autocensura, alla bieca ed effimera saccoccia personale. Sempre lì si va a finire.

    Ma i giovani cosa cavolo devono fare? Il niente assoluto come prospettiva di vita. Gran bel modo di pensare a se stessi, gran bell’esempio di combattività! Hanno la consapevolezza di non avere nulla in mano e di non poterla mai avere.

    Barnard rinuncia? E quindi? Dobbiamo rinunciare tutti? MAI! È uno come tanti che a parole costruisce città, ma nei fatti rinuncia quando sono gli altri ad aver bisogno.

    Tutto questo mio sconclusionato peregrinare tra le parole per arrivare ad un punto.
    Sarà paradossale, ma io una società orizzontale e con prospettive di miglioramento la vedo.
    Conosco comunità di persone, che non si conoscono nemmeno, che condividono saperi e necessità, bisogni e soluzioni.
    E non sono piccole tribù sperdute in chissà quale luogo ameno del mondo. Sono ovunque sparse per il mondo e collaborano tra loro. Crescono in modo esponenziale a livello numerico e sono lungi dallo sparire o dall’essere corrotte (non sono paradisi per carità, ma sicuramente sono migliori della società civile).
    Sono le comunità Open Source.
    Mi dirai, questa è matta, confonde l’informatica con la vita reale. Ma perché se si riesce a far questo in un campo dove gli interesse sono altissimi, non si può espandere a tutto il resto?
    La butto lì così. Per me è un punto di partenza.
    È così stupido?

  2. Ciao S. Grazie per il tuo contributo. Stupido? Non direi. Un punto di arrivo ormai non ce l’ha più nessuno. Almeno tu ne hai uno di partenza …
    A parte gli scherzi, non so molto degli ubuntu e gruppi del genere. Magari tu hai voglia di scrivere qualcosa in più e chiarire un po’ meglio il tuo pensiero.
    Questo spazio è aperto a tutti i contributi. Se vuoi più spazio non hai che da chiederlo …
    Ciao

  3. Ciao Giosby e grazie.
    Per cercare di spiegarmi devi concedermi una digressione sulla nascita dell’Open Source e del Software Libero e su cosa siano effettivamente (non solo ubuntu, sono molto di più).

    Open Source/Free Software: in genere i due termini possono essere associati in quanto le diverse licenze d’uso con cui tale software viene rilasciato (distribuito) sono accomunate dal fatto che concedono all’utente la possibilità di accesso al codice sorgente (da cui il termine Open Source, in italiano Codice Sorgente Aperto). In generale, con tale modalità di distribuzione del software, non solo si ha la possibilità di vedere il codice sorgente alla base del programma stesso, ma si ha anche la libertà di modificarlo, copiarlo e distribuirlo liberamente. Di conseguenza, un programma libero può essere utilizzato per gli scopi più diversi, incluso quello commerciale.

    “Software libero” è una questione di libertà, non di prezzo. Per capire il concetto, bisognerebbe pensare alla “libertà di parola” e non alla “birra gratis” (il termine free in inglese significa sia gratuito che libero, in italiano il problema non esiste).
    “Software libero” si riferisce alla libertà dell’utente di eseguire, copiare, distribuire, studiare, cambiare e migliorare il software. Più precisamente, esso si riferisce a quattro tipi di libertà per gli utenti del software:
    Libertà di eseguire il programma, per qualsiasi scopo.
    Libertà di studiare come funziona il programma, e adattarlo alle proprie necessità (l’accesso al codice sorgente ne è una precondizione).
    Libertà di ridistribuire copie in modo da aiutare il prossimo.
    Libertà di migliorare il programma, e distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio (l’accesso al codice sorgente ne è una precondizione).

    Il concetto di software libero discende naturalmente da quello di libertà di scambio di idee e di informazioni. Negli ambienti scientifici, quest’ultimo principio è tenuto in alta considerazione per la fecondità che ha dimostrato; ad esso infatti è generalmente attribuita molta parte dell’eccezionale ed imprevedibile crescita del sapere negli ultimi tre secoli.
    La libertà di scambio di idee non è tuttavia una questione puramente pratica: essa è anche alla base dei concetti di libertà di pensiero e di espressione. Analogamente alle idee, il software è immateriale, e può essere riprodotto e trasmesso facilmente. In modo simile a quanto avviene per le idee, parte essenziale del processo che sostiene la crescita e l’evoluzione del software è la sua libera diffusione. Ed ogni giorno di più, come le idee, il software permea il tessuto sociale e lo influenza, produce effetti etici, economici, politici e in un senso più generale culturali.

    Nel 1998 Bruce Perens, Eric Raymond e altre personalità nel campo del software libero si convinsero che i principi di libertà associati ad esso fossero malvisti nel mondo degli affari, a causa della loro carica ideologica. Decisero perciò di evitare accuratamente ogni riferimento a considerazioni politiche o di principio, e di lanciare una campagna di promozione del software libero che ne mettesse in luce i numerosi vantaggi pratici, come la facilità di adattamento, l’affidabilità, la sicurezza, la conformità agli standard, l’indipendenza dai singoli fornitori. A tal fine scrissero la Open Source Definition, il documento fondamentale del movimento open source.
    Il movimento open source fu un successo, e contribuì a sdoganare il concetto di software libero in campo aziendale, dove era guardato con sospetto o condiscendenza. Un esempio di questo successo è l’atteggiamento dell’IBM, l’azienda che ha fatto di gran lunga i maggiori investimenti nel campo del software libero, la quale parla esclusivamente di open source, mai di software libero.
    La voluta neutralità del movimento open source verso gli aspetti etici e politici del software libero è la caratteristica sostanziale che lo distingue dalla filosofia del software libero, che al contrario pone l’accento sulle motivazioni ideali. Parlare di software libero piuttosto che di open source è una questione politica piuttosto che pratica; i due movimenti concordano infatti sulle licenze considerate accettabili, ed hanno obiettivi e mezzi comuni.

    La rilevanza economica del software libero è ancora molto ridotta, ma è in fortissima crescita ormai da alcuni anni, e tutto consente di supporre che tale crescita continui nel prossimo futuro, anche grazie ai vantaggi tecnici ed economici del software libero.
    Ad oggi, il software libero è ampiamente diffuso in ambito accademico, industriale e fra gli appassionati di computer, soprattutto grazie ai sistemi GNU/Linux.

    [Stallman R., Codice Libero (Free as in Freedom), Apogeo, Milano 2003]

    Si sono create grandi e piccole comunità internazionali e nazionali di sviluppo e condivisione dei saperi (con tanto di forum in cui chiedere aiuti e divulgare soluzioni; incredibile ma vero ci sono migliaia e migliaia di persone disposte a sviluppare a titolo gratuito per il semplice gusto di risolvere un problema che si presenta anche ad un singolo utente). Una compartecipazione che ha per fine la libertà di espressione e di condivisione di mezzi, beni, necessità ed utili. La ricerca quindi di un “bene” pubblico che porta benefici anche al singolo.

    Sì è costituita quindi una rete di condivisione in cui ogni piccolo gruppo rappresenta un nodo produttivo.

    Detto questo senza la rete l’Open Source non avrebbe mai potuto avere vita senza il web. È infatti solo grazie alla collaborazione sempre crescente di appassionati, sviluppatori e beta-tester (coloro che si prestano a testare l’effettivo funzionamento di pacchetti e applicativi vari) di tutto il mondo che lo sviluppo di questo software è arrivato al punto di contrastare e superare lungamente a livello di prestazioni le grandi industrie Microsoft e Mac (ci sarebbe molto da dire su questo, ma non credo sia il contesto adatto).

    Perché un successo analogo deve essere impossibile in altri campi?

    Spero di essere stata un po’ più chiara, anche se forse un po’ troppo prolissa.

  4. Aggiungo un altro piccolo pezzettino al puzzle. Questo tipo di software (distribuito gratuitamente nella stragrande maggioranza dei casi) contribuisce all’educazione alla legalità. non c’è alcun bisogno di piratare programmi e sitemi operativi. Sono liberamente accessibili e alla portata di tutti. Basta un click per poterne disporre a libero piacimento.
    Questo ha anche portato alla promozione di una importante battaglia sociale: la ricerca della’abolizione del digital divide (il divario esistente tra chi può accedere alle nuove tecnologie e chi no).
    Ripeto, è così impossibile vederne e sperarne uno sviluppo in altri campi della società civile?

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