Poggiamo i piedi su una terra che ci dà sicurezza o su un filo sospeso nell’aria.
L’equilibrista sceglie di mettersi in una situazione di pericolo per mostrare la sua abilità, mentre noi, talvolta, ci sentiamo sospesi nel vuoto nostro malgrado.
Precarietà, instabilità, paura del futuro sono le parole che l’anno appena concluso ha diffuso sempre di più.
E questo determina le nostre incertezze, il nostro sentirsi appesi a un filo.
Ma ci sono aspetti non sempre espliciti in questo equilibrio precario.
Sembra che nella lotta tra avere o essere di Erich Fromm, la prevalenza dell’avere nella nostra società sembra avanzare incontrastata.
Eppure l’equilibrio non è dato semplicemente dal possesso di beni.
“La salute mentale si fonda sull’equilibrio fra due modalità di rapporto con la realtà circostante: quella di natura economica e quella di natura simbiotica.
La modalità di natura economica mediante l’intelligenza razionale (o ragione, capacità di rilevare e collegare fra loro secondo nessi logici i fenomeni osservati) interviene a stabilire il rapporto psicofisico con il contesto circostante, per garantire la sopravvivenza fisica dell’individuo.
La modalità di natura simbiotica si vale del sentimento (o sensibilità emotiva, capacità di commuoversi, ovvero di sentire e di esprimere i contenuti emotivi, in sè e nella comunicazione con gli altri. Da non confondersi con la capacità di provare determinate emozioni, quali la paura, l’ira, la gratificazione, la soddisfazione) nello sviluppo del rapporto psicoaffettivo con il proprio contesto umano e ambientale, e garantisce la sopravvivenza emotiva dell’individuo.”
Se temiamo per la nostra sopravvivenza fisica, per i nostri bisogni, possiamo ricorrere ai nostri affetti per cercare di compensare le nostre carenze.
In effetti i poveri sfortunati che muoiono magari di freddo in questi giorni nel mondo occidentale, con ogni probabilità non hanno nessuno al mondo a cui chiedere aiuto; cioè la loro povertà, oltre che economica, è anche affettiva.
Se invece temiamo per i nostri sentimenti, li consideriamo inaccettabili, non siamo più in grado di riconoscere l’amore che i genitori provano (o hanno provato) per noi come un sentimento che ci riscalda, che ci rassicura, che ci fortifica, allora per forza di cose ricorriamo ai bisogni materiali, e in tal senso siamo portati a sopravvalutare i nostri bisogni reali e a sentirci deprivati se non godiamo di tutte le comodità che il mondo moderno ci propone.
“Come si manifesta la perdita dell’equilibrio fra la modalità di rapporto di natura economica e quella di natura simbiotica, a danno di quest’ultima?
Principalmente con l’instaurarsi dell’anestesia del sentimentoe, di conseguenza, con l’ipertrofia delle facoltà razionali per compensare le carenze sul versante affettivo.”
Alla luce di queste considerazioni occorre chiedersi se la nostra società moderna non sia di per sé completamente sbilanciata verso il materialismo, ovvero verso quella modalità economica dove sembra che l’unica cosa importante sia il consumo e il possesso di oggetti sempre più potenti da un punto di vista tecnologico.
Diventando sempre maggiori le necessità economiche di una società che sopravvive soltanto grazie a una iperproduzione di oggetti per lo più superflui, le capacità tecniche più importanti, oltre a quelle legate alla produzione industriale, sono proprio le tecniche di persuasione che, grazie a leve di tipo emotivo, riescono a condizionare la nostra percezione del mondo.
Ormai siamo diffidenti verso qualsiasi prodotto che non abbia un sufficiente supporto pubblicitario.
Ciò significa che quando noi compriamo un prodotto paghiamo, oltre al costo della produzione i costi legati alla diffusione del prodotto.
Cioè io compro l’auto X piuttosto che Y perché la comunicazione che ha svolto X è più convincente di quella di Y.
Almeno per me, che non sono altro che un individuo che fa parte di un certo gruppo di individui che costituisce l’obiettivo dei comunicatori di X.
Ma questa necessità di vendere ha bisogno di una carenza affettiva sulla quale costruire i bisogni.
Perciò la società è portata a distruggere i rapporti affettivi, in quanto essi non sono altro che una distrazione dal consumo.
La stessa diffusione del fenomeno dei single, che tendono a diventare più numerosi delle famiglie, ha un bel riscontro nel consumo. Vediamo per esempio che, secondo la Coldiretti, “La spesa mensile per gli alimenti di un single ammonta a circa €312,00/mese mentre quella di una famiglia ammonta a circa €190/mese. Quali sono le ragioni alla base di questa tendenza?”
Ma quali sono le conseguenze di questo disequilibrio? Che risvolti pratici può avere per noi conoscere queste cose?
Possiamo fare molta attenzione a tutto ciò che tende a separarci dai nostri affetti.
Si comincia subito, anche prima della nascita, preparando un parto dove la separazione tra madre e figlio sarà immediata, sempre che si abbia la fortuna di riuscire ad evitare un parto cesareo che esclude la mamma dalla coscienza della nascita.
Poi si continua sabotando l’allattamento al seno e si va avanti raccontando fandonie sugli asili nidi che già a sei mesi aiuterebbero i bambini a socializzare …
E si continua a interferire in ogni modo nel rapporto d’amore tra genitori e figli, grazie agli esperti, sempre più competenti dei genitori, alla scuola dove i genitori sono spesso vissuti come la causa delle difficoltà dei figli e dove il giudizio scolastico pesa come un macigno ed è squalificante nei confronti dell’autorità dei genitori.
Infatti l’autorità dei genitori passa subito in secondo piano, anzi viene annullata in confronto a quella degli insegnanti che hanno il potere di assegnare un voto, un giudizio che assegna ad ogni bambino un suo valore “oggettivo” poiché proviene dall’esterno della famiglia.
In effetti la scuola, così com’è attualmente strutturata, con i suoi giudizi, valuta non soltanto i ragazzi ma anche le loro famiglie, minando le sicurezze e le capacità dei genitori.
In definitiva il nostro equilibrio sembra sempre più appeso ad un filo, ma sta a noi fare attenzione a non farsi abbindolare, ad evitare di pensare che tutto dipenda da ciò che possiamo permetterci e ciò cui dobbiamo rinunciare.
Sta a noi impedire che le esigenze materiali ci costringano ad un eccessivo allontanamento dai nostri affetti, che hanno bisogno di essere coltivati, hanno bisogno di tempo e non soltanto di un paio di scarpe nuove.
Attenzione, cadere dal filo cui siamo appesi fa male!
Pieter Brueghel il vecchio Land_of_Cockaigne 1567 dettaglio
Ecco l’esercito dei prof, l’un contro l’altro armati.
Il prof di ginnastica contro quello di matematica, quello di italiano contro quello di musica.
Vale di più intonare bene il DO RE MI o salire sulla pertica?
Disegnare una mela o una poesia a memoria?
Il sogno della Gelmini è quello di dividere gli insegnanti, metterli uno contro l’altro in un’assurda competizione per un pugno di dollari.
Ma che attinenza può avere un simile progetto strampalato e propagandistico con i bisogni della scuola.
Nelle aule ci sono insegnanti che sicuramente hanno bisogno di formazione poiché fanno sempre più fatica a svolgere il loro lavoro.
La capacità di trovare un modo per comunicare con gli studenti, di trovare un’empatia con loro, senza cui non è possibile alcun apprendimento, non si apprende sui libri ma ha bisogno di essere sostenuta da formatori esperti di comunicazione, di rapporti interpersonali, di psicologia.
La scuola sembra ormai una fabbrica dove i lavoratori non sono in cassa integrazione giusto perché la materia prima è sempre lì, ma dove nessuno sa che farne, nessuno riesce a coltivare questa ricchezza, cioè l’ intelligenza e la fantasia dei ragazzi, in qualcosa di più di un semplice 5, 6 o 7 che il più delle volte misura il grado di furbizia dei ragazzi nel districarsi dalle piccole trappole delle valutazioni.
La formazione non ha più alcun peso, anzi andando avanti così nessuno sarà neanche più in grado di offrirla.
Invece la valutazione è sempre più importante, perché si premia il merito, le capacità del singolo.
Cerchiamo il grande nuotatore in una società dove si lotta per non affogare in una vasca da bagno.
Perché la medaglia d’oro fa sempre spettacolo, mentre la miseria di tutti possiamo sempre tralasciarla, anzi sostituirla con un bello spot.
Senza contare i rischi di attribuzione clientelare e mafiosa per questi premi, il clima da leccata generale che è tanto caro ai nostri cari (im)potenti.
Tutta gente che ha fatto della prostituzione il metodo selettivo per eccellenza. Prostituzione e sottomissione in tutti i sensi, fisica e intellettuale, che è forse peggiore.
No Mariastellina cara, la scuola non ha bisogno delle tue sperimentazioni per valorizzare il merito, della carotina sventolata in bella vista dopo una marea di calci nel culo.
E’ un sistema deleterio di insultare i protagonisti di un lavoro che richiede impegno e dignità, competenza e passione.
Gli insegnanti hanno bisogno di aiuto, di aggiornamento pagato e non fatto a loro spese con la chimera della medaglia!
Hanno bisogno del sostegno dei genitori, che ormai sono totalmente assenti dalla scuola perché considerati soltanto come un ulteriore fastidio, invece che una risorsa.
Hanno bisogno di una formazione psicologica, perché la vita nelle aule è dura per tutti, e se non si hanno strumenti per accogliere e comprendere le più svariate esigenze dei ragazzi si rischia di uscirne con i nervi a pezzi e di rimetterci la propria salute.
Da alcuni giorni discuto un po’ animosamente con Lameduck
sul blog del Tafanus.
Il tema del dibattito ha origine nel post di Lameduck riguardante l’omicidio di Sarah Scazzi: A chi non ti ha difesa
Il punto di vista di Lameduck è originale e interessante ed individua nell’omertà delle altre donne della famiglia il vero responsabile della tragedia che, secondo l’autrice, poteva essere evitata.
Non mi dilungo sulla questione, chi ne ha voglia legga l’articolo e i relativi commenti.
A un certo punto però, tra me e Lameduck avviene un corto circuito. Sembriamo proprio due caproni che si tirano cornate uno contro l’altro a testa bassa.
Sto cercando di capire il motivo di questo scontro e se può essere utile in qualche modo, anche perché su diversi punti le idee mie e di Lameduck convergono.
Per esempio concordiamo sul fatto che i disagi all’interno della famiglia possano e debbano essere prevenuti, con una educazione che abitui al dialogo e ad una serena espressione dei propri sentimenti.
Tuttavia a un certo punto, tra un commento e l’altro, io scrivo:
Continuo asserendo che l’articolo di Lameduck si inserisce in questo contesto di attacco alla famiglia.
Il mio discorso viene ignorato e ridicolizzato da Lameduck:
Intanto sembra che l’unica cosa che mi interessi sia competere con lei:
“Dai, vuoi solo rubare la scena, ammettilo.”
Questa frase nega qualunque valore al mio discorso, sembra che io scriva non tanto per comunicare un’esperienza e delle conoscenze, ma per arrecare danno a Lameduck !!!
Ma quello che più mi fa incazzareè che io porto l’esempio dell’allattamento al senosemplicemente per spiegare un fenomeno come quello dell’ INTERFERENZA SOCIALE ED ECONOMICA sulla vita della famiglia, e questo esempio viene preso per criticare l’allattamento al seno, come se si trattasse di una scusa banale per colpevolizzare ancora una volta le donne!!!
1. L’allattamento al seno è un’ottima prevenzione anche per il disagio psichico.
2. E’ consigliato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità l’allattamento al seno fino oltre i due anni di età.
3. Ridicolizzare questo utilissimo strumento preventivo fonte di benessere e di sanità per la donna e per i bambini fa parte dello stesso tipo di sabotaggio che la società svolge per interessi prevalentemente economici.
4. Quanto alla donna che “il latte non ce l’ha” come scrive Lameduck vorrei citare il documento del Ministero della Salute del 2007 (governo Prodi) “Linee di indirizzo nazionali sulla protezione, la promozione ed il sostegno dell’allattamento al seno” (scarica QUI) a pagina 2
“il Ministero della salute, in conformità con le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), raccomanda perciò, come misura di salute pubblica, che i bambini siano allattati esclusivamente al seno fino a sei mesi e che l’allattamento al seno continui poi, con adeguati alimenti complementari fino a che la madre ed il bambino lo desiderino, anche dopo l’anno di vita;
il Ministero della salute riconosce che l’allattamento al seno è un diritto fondamentale dei bambinie che è un diritto delle mamme essere sostenute nella realizzazione del loro desiderio di allattare nel rispetto delle diverse culture e nell’impegno a colmare ogni tipo di disuguaglianze. A parte rari e specifici casi in cui l’allattamento al seno è impossibile o controindicato, le donne che, dopo aver ricevuto un’informazione completa, corretta ed indipendente da interessi commerciali sull’alimentazione della prima infanzia, decidano di alimentare artificialmente i loro figli, devono essere rispettate per questa loro decisione e devono ricevere tutto il sostegno necessario a metterla in pratica nel miglior modo possibile. È compito degli operatori sanitari e sociali fornire alle donne informazioni corrette sui benefici e sulla pratica dell’allattamento al seno, in modo che le stesse possano prendere decisioni informate. Per garantire la massima indipendenza, queste informazioni non possono essere fornite da entità che abbiano interessi commerciali nella produzione, distribuzione e vendita di alimenti per l’infanzia e di strumenti per la loro somministrazione”
5. Quanto alle “ragadi che fanno male” (aspettavamo Lameduck per questa notizia sensazionale 🙂 sorry) essesi formano principalmente a causa di un’errata postura del bambino durante la poppata e non dovrebbero essere una causa di interruzione dell’allattamento, visto che è un problema che si può risolvere con facilità e con una buona informazione, che si può trovare dalle organizzazioni femminili di sostegno all’allattamento al seno, come il MAMI o La Leche League.
6. Nessuno ha mai pensato di colpevolizzare le donne che non allattano. Se Lameduck avesse letto bene i miei commenti avrebbe letto che una delle cose che ritengo maggiormente dannosa per l’equilibrio delle famiglie è proprio la colpevolizzazione dei genitori:
non aiuti proprio nessuno ad utilizzare la psicologia e la psicanalisi quando qualcuno ha bisogno di un sostegno.
Neanch’io esercito, ma per motivi dovuti a mie difficoltà e anche a fattori economici, anche se mi piacerebbe lavorare soprattutto nel campo della prevenzione. Ma mi guarderei bene dall’affermare che la psicologia è un servizio sociale ben poco utile, come si deduce da ciò che scrivi!
Infine ti ringrazio per aver stimolato queste riflessioni, anche se rimango deluso della tua ignoranza e presunzione (scusami se insisto, ma mi piace dire le cose che penso chiare e tonde) su un argomento tanto rilevante.
Un abbraccio sincero
Giorgio
P.S. scusami se metto in rilievo la tua ignoranza sul tema, ma credo che la prevenzione e il benessere di donne e bambini hanno la precedenza sulla tua sensibilità che spero di non ferire. Sono temi su cui è necessario essere estremamente chiari e c’è già abbastanza gente che diffonde disinformazione sul tema. Mi dispiace molto che proprio tu, che stimo molto su altri temi, debba fare ironia in un campo dove una maggiore attenzione è necessaria da parte di tutti.
Ci è parsa quindi naturale l’aspirazione a una completa rifondazione dei nostri concetti di prevenzione del disagio psichico infantile, adolescenziale e adulto. Non è questa la sede idonea per una disamina completa di questa ipotesi, ma, come affermato alla fine del paragrafo precedente, è quanto meno possibile tradurre quanto emerso dalle nostre casistiche in obiettivi possibili per una prevenzione efficace.”
uomini e donne
amore e morte
spesso s’intersecano
senza spiegazioni apparenti
flirt, corteggiamento, abbordaggio, chat
donne che disdegnano, donne insultate, donne massacrate.
poi si parla dei massacri e di cosa gira per la testa agl uomini che massacrano
amore, non amore.
possesso, gelosia
un fenomeno di follia individuale o una lucida follia che ha messo radici in una società malata?
Non volevo scriverne qui, ma ne ho scritto in giro, tra un commento e l’altro.
Si arriva ieri sera a un tema che potrebbe essere un binario morto, e invece è di estrema importanza: la distanza dal padre.
Che c’entra direte voi?
Eppure per un maschio non esiste sofferenza più grande.
Pensare di conoscere l’uomo che sulla terra ha le caratteristiche più simili alle tue, come nessun altro, e magari disprezzarlo, pensare che egli sia un inetto, un incapace o un malvagio.
Uno che semplicemente non ci vuole bene, non ce ne ha mai voluto.
Quante volte queste fantasie sul proprio padre sono presenti?
Quante volte il padre non si vede, non c’è, è semplicemente sparito.
Quante volte il padre è morto e questa morte è stata vissuta come una cattiveria, una tortura inutile subita magari da un bambino che qualcuno, senza capire e senza sapere, ha cercato di tenere lontano dal dolore, dall’unico sentimento reale in grado di salvare quel piccolo bambino.
Perché il dolore, se vissuto, è una ferita, magari grande, ma che si rimargina.
Mentre il dolore, semplicemente allontanato, diventa come una pustola che non guarisce mai, anzi crea una cancrena che si allarga sempre di più.
E’ semplice ignoranza, purtroppo.
Troppe volte usata a fin di bene, per “proteggere i bambini”.
Queste distanze sono in grado di creare disagi enormi, con anche grandi potenzialità distruttive.
Lo stesso discorso vale per le donne, distanti dalle madri.
Discorso lungo, troppo grande per un piccolo blog.
Basti pensare però che, alle volte, basterebbe un semplice abbraccio, per salvare una vita.
Ho scoperto da non molto l’esistenza dei cosiddetti Movimenti Maschili.
Sono maschio, sono siciliano cioè provengo da una tradizione familiare di un certo tipo, ho vissuto la mia adolescenza negli anni ’70,in una città come Milano, in pieno clima femminista e sono cresciuto tra “Io sono mia” e “Il personale è politico”.
Mi sono abituato pertanto a pormi domande, questioni delle più svariate, dubbi sulla mia identità ed il mio ruolo.
Ho cercato di confrontarmi sempre con uomini e donne senza cadere vittima di pregiudizi.
Per quanto ho potuto, intendiamoci. Sono vittima come tutti di certi meccanismi di pensiero, ma ho cercato quanto meno di fare un po’ di attenzione e di evitare banalità e luoghi comuni.
Detto questo un movimento di maschi che si interessi del ruolo del maschio e della nostra identità in linea di principio mi interessa ed è con questo spirito che ho iniziato a leggere qualcosa sul blog degli Uomini Beta.
Pertanto inizio a leggere partendo dalla Home Page:
*** Reciprocità e spontaneità sono due concetti che la grande maggioranza delle donne non sa neanche cosa siano.
***
Già qui mi sembra di leggere un concetto assurdo che sembra provenire da una situazione di estrema ignoranza e povertà intellettuale.
Ma come diavolo si fa ad affermare una cosa del genere?
Provo a riscriverla:
LA MAGGIORANZA DELLE DONNE NON SA NEANCHE COSA SIA LA SPONTANEITA’ !
Cioè tutte le donne (o quasi) sono una massa di bugiarde calcolatrici!!!
Si comportano seguendo soltanto il loro sporco interesse. Essere senza spontaneità significa non avere SENTIMENTI !
Una nuova specie di automa che freddamente calcola come fregare il maschio e sottometterlo al proprio volere!
Leggo ancora:
***
Tradotto in parole ancora più povere, se gli uomini (beta) non si proponessero, non andassero di loro propria iniziativa verso le donne, l’incontro fra i due sessi non avverrebbe mai, non avrebbe neanche luogo. Detto in modo più rozzo ma forse ancora più efficace, se anche gli uomini adottassero gli stessi comportamenti delle donne, l’umanità si sarebbe estinta già da un bel po’ di tempo.
***
Ma io questa realtà non la vedo proprio. Vedo sia donne che uomini attive/o o passive/i nel proporsi all’altro sesso.
Ognuno a modo suo, con il suo stile e con i suoi sentimenti. Non dovremmo mai dimenticare che le prime esperienze di rapporto amoroso con l’altro sesso iniziano proprio durante l’adolescenza.
Non mi sembra che le ragazzine di oggi siano proprio lì ad aspettare che il ragazzino faccia una mossa, altrimenti ciccia.
Continua ancora:
***
Ma cosa nasconde l’incapacità/non volontà/riluttanza/diffidenza/fastidio/ e il più delle volte addirittura l’insopportabilità, per le donne, ad andare verso gli uomini?
Innanzitutto l’incapacità di relazionarsi con l’altro da una posizione di parità. Pretendere che sia sempre e solo l’altro a fare il primo passo significa porsi automaticamente in una posizione di potere nei confronti dell’altro.
***
Assegnare alle donne una incapacità di relazione, come dato di fatto, mi sembra veramente assurdo.
La riduzione del rapporto tra i sessi ad un mero gioco di potere mi sembra che sia il frutto di un rancore nei confronti dell’altro sesso che può derivare soltanto da una serie di esperienze negative.
Sembra di vivere in una società dove lo spazio per i sentimenti è totalmente fagocitato da relazioni di tipo economico, dove l’unica cosa che conta è ciò che si possiede mentre i sentimenti sono relegati a semplici contrattempi.
Mi sembra una visione alquanto psicotica delle relazioni, impregnata dal fenomeno dell’anestesia del sentimento, dove tutti i comportamenti dell’altro vengono percepiti come avulsi da qualsiasi “sentire” e completamente diretti a scopi economici e/o di sottomissione.
Attenzione, non voglio affermare che gli aderenti agli Uomini Beta siano tutti malati mentali. Nessuno può avere la presunzione di valutare la condizione mentale di qualcun altro leggendo ciò che viene scritto in un blog, ma voglio soltanto sottolineare che un certo modo di pensare ha delle curiose similitudini con un sistema di pensiero che è un segnale di disagio dal punto di vista psicologico.
Il Movimento degli Uomini Beta ritiene che, nell’attuale contesto sociale, culturale e storico del mondo occidentale, gli uomini non appartenenti alle elite dominanti, sia maschili che femminili, siano il gruppo sociale e di genere che vive una condizione di oppressione e subordinazione sia nei confronti delle suddette elite che della grande maggioranza della popolazione femminile;
Il superamento di tale condizione di discriminazione e disuguaglianza è l’obiettivo strategico a cui lavora il Movimento; ( …)
Il Movimento degli Uomini Beta si rivolge a tutti quegli uomini che non appartengono alle elite dei cosiddetti maschi alpha dominanti, affinché essi sviluppino una piena consapevolezza della loro condizione di subordinazione;
Il Movimento degli Uomini Beta lavora affinché tutti gli uomini oppressi, discriminati e subordinati siano in grado di affrancarsi da tale condizione, di organizzarsi per la difesa dei loro interessi di genere e per rivendicare il pieno diritto di stare al mondo in una condizione di piena ed assoluta parità con l’altro genere e con tutti gli altri uomini;
Il Movimento degli Uomini Beta si rivolge altresì alle donne non appartenenti alle elite dominanti, invitandole ad abbandonare i falsi miti e valori proposti dall’attuale sistema dominante fondato sulla ragione strumentale e mercantile, che le vede di fatto psicologicamente e culturalmente, oltre che concretamente, complici di tali logiche. Le invita ad aderire al nostro Movimento al fine di lavorare per la costruzione di una nuova relazione fra i sessi fondata sui valori di una vera eguaglianza, sulla fine di ogni logica strumentale, sul superamento di ogni forma di mercificazione sessuale, sulla reciprocità e sul riconoscimento della libertà, dell’autonomia, della peculiarità, della dignità e del valore dell’altro/a.
***
Cerco di capire e capisco così:
gli Uomini Beta affermano di essere oppressi e subordinati alle donne.
La prima affermazione mi sembra una semplice sciocchezza. Faccio un esempio semplice e chiaro, che però è sintomatico di quali siano oggi come oggi i rapporti di forza nella società.
Se una donna o una ragazza esce da sola la sera chi le vuole bene è preoccupato per gli incontri che potrebbe fare, ovvero potrebbe incontrare uno o più uomini che la aggrediscono per abusarne sessualmente.
Questo è il clima della nostra società.
Un maschio questo tipo di paure non le prova praticamente mai, a meno che non sia omosessuale e che subisca altre discriminazioni.
Stando così le cose possiamo avere qualche dubbio sul genere che subisce quotidianamente una violenza psicologica che genera insicurezza, dipendenza dall’altro sesso per ciò che riguarda la propria sicurezza personale?
Ma con un po’ di pazienza vediamo adesso cosa scrive nel suo blog un altro adepto degli uomini Beta, tale Icarus 10:
la realtà è che questa società è tutt’altro che sessuo-foba(sessuo-fobia significa avversione per il sesso), anzi è profondamente e idoloatricamente sessuo-fila(amante del sesso): il sesso(a misura esclusivamente femminile, però) è nominato ed esposto ovunque, sia a livello mass-mediatico che nella vita reale di tutti i giorni, sempre omaggiato, magnificato, idolatrato e ogni occasione diventa buona per parlarne di esso, e quindi di esibirlo, esporlo fino al parossismo. Quindi è proprio in questo aspetto e contesto che si rende evidente questa contraddizione logica: cioè sul fatto che il tipo di violenza e di abuso che più incute terrore e rabbia in questa società è proprio quello sotto forma di ciò che ad essa più piace: il sesso. La Violenza Sessuale.Una contraddizione in termini logici, quindi. Perchè questo così accanimento isterico nei confronti degli illeciti sessuali assumerebbe una coerenza logica-anche se non condivisibile- in una civiltà sessual-moralista e non certo in una società sessualmente esibizionista come la nostra(1),(2). Ogni qualvolta faccio notare questa contraddizione a molte donne(femministe o “antifemministe” che siano) nonchè ai maschi zerbini e pro-feminist, mi si sento rispondere che io non capisco la differenza che c’è tra il sesso e la violenza. No, io tale differenza la capisco eccome, cioè che il sesso fatto senza consensualità di una delle due parti rappresenti una violenza, un abuso. Su questo non si discute. Però rimane il fatto che, pur se violento, sempre sesso è, e quindi la discriminante della non consensualità, da sola, non può spiegare il perchè di questo così isterico e fanatico accanimento(3). Perchè vi è qualcosa a livello logico che non quadra :cioè, la cosa più brutta che ci sia avviene quando si viene costretti a fare senza il proprio consenso quella cosa a cui più non piace fare e non certo quella cosa a cui più piace fare(in questo caso,il sesso): ad esempio se ti costringono a mangiare il tuo piatto preferito quando sei sazio e non vuoi mangiare, ovviamente ciò rappresenta una cosa brutta, una imposizione, una violenza, ma non certamente la cosa più brutta che ci sia(in termini gastrici); quest’ ultima avviene quando ti costringono a mangiare contro la tua volontà quella cosa di cui più non ti piace mangiare.
(…) (le donne) Non sanno nemmeno loro ciò che vogliono, ma dicono tutto e il contrario di tutto, irrazionalmente, a seconda di come le girano le ovaie.
***
Non credo neanche valga la pena commentare questo scritto. Si commenta da solo.
Mi chiedo che tipo di conoscenza potrà mai avere questo Icarus 10 della sensibilità femminile.
Mi chiedo cosa direbbe se qualcuno avesse voglia di profanare il suo bel culetto … Anche quello è molto quotato ultimamente, no?
Mi chiedo come possa “richiedere” parità colui che pensa che le donne “non sanno nemmeno ciò che vogliono, irrazionalmente, a seconda di come girano le ovaie” ?!?
Invitano TUTTI gli uomini OPPRESSI ad ORGANIZZARSI PER DIFENDERE I LORO INTERESSI DI GENERE.
Come potranno essere mai oppressi gli uomini da chi non sa neanche ciò che vuole? Mah ! Misteri della fede !
Il sito degli uomini beta si lamenta tanto della mercificazione del sesso, come fosse una invenzione tutta femminile, ma sembra non accorgersi nemmeno che se non ci fossero milioni e milioni di uomini disposti a pagare per una scopata, riducendo con questo gesto la donna ad un semplice oggetto al servizio del proprio piacere, questo problema neanche esisterebbe.
Non mi sembra il caso che signore come Galatea e Lameduck continuino a perdere tempo in un sito dove il disprezzo generico per il sesso femminile è il tema dominante.
Qui Fabrizio Marchi afferma nel suo “manifesto”
– le donne (…) abbattono la scure della loro vendetta storica sugli uomini “normali” (cioè i maschi beta non dominanti), coloro la cui colpa e la cui sfortuna è unicamente quella di essere nati uomini nel momento sbagliato, cioè in una fase storica nella quale, se non si appartiene alla elite dei maschi alpha dominanti, si è considerati meno di zero.-
Per me, misero maschio, questo scritto è vergognoso e lontano dalla realtà anni luce.
Mi spiace, ma con altri maschi che condividono queste assurdità non penso ci possa essere qualcosa da condividere.
Sono deluso dal vostro modo di sentirsi appartenenti ad un genere che ha ben altro da proporre.
Buona Pasqua !
***
Dopo qualche breve scaramuccia con il padrone di casa a corto di argomenti, che sostiene di essere stato insultato (?) e che minaccia la censura
N.B. grazie alla segnalazione di Chiara di Notte – Klára del 16 Aprile 2010, ho scoperto che nel sito degli uomini Beta il post “Matrimonio? No, grazie” a cui faccio riferimento nell’articolo è misteriosamente scomparso …
Chissà perché?
Ad ogni modo è disponibile la copia da me salvata scaricabile QUI ed ho completato l’articolo con le immagini dei commenti rimossi a cui faccio riferimento!
Complimenti agli Uomini Beta per la loro grande prova di equilibrio …
ATTENZIONE: ho scoperto che l’articolo NON è stato censurato, ma semplicemente ha cambiato DATA e indirizzo, probabilmente per far perdere i collegamenti che arrivavano da questo blog, da quello di Lameduck e da quello di Chiara di Notte -Klàra.
Strano un articolo con data 14 Aprile dove il primo commento è del 1 Aprile, no?
Oppure chissà perché. Tuttavia a pensar male si fa peccato, ma tante volte ci si azzecca …
Il nuovo indirizzo è questo: http://www.uominibeta.org/2010/04/13/matrimonio-no-grazie/
P.S. del 20 Giugno 2010: l’indirizzo è ancora cambiato …
Un insegnante descrive alcune difficoltà nella realizzazione di un progetto sulla collaborazione in classe:
“Vorrei riportare un fatto che mi è accaduto.
Insieme con i miei colleghi abbiamo elaborato un progetto sulla collaborazione, sullo star bene insieme.
Abbiamo presentato l’importanza di questo progetto ai genitori e agli studenti.
Nonostante il nostro impegno, abbiamo notato alcune situazioni sconfortanti.
Gli studenti avevano creato una gerarchia fra le varie materie: questo progetto di educazione ai sentimenti non veniva considerato alla pari delle altre materie, ma veniva percepito come un divertimento, come un giochino di socializzazione. In breve, come una perdita di tempo.
Quando si chiedeva loro: “Che cosa avete fatto a scuola?”, molti rispondevano frettolosamente: “Ah, niente. Abbiamo parlato”.
Probabilmente questi ragazzi ritenevano che la scuola fosse qualcosa di diverso.
“Scuola” nella loro mente è associata a spiegazione, interrogazione, voto.
Un’altra osservazione scoraggiante ci è stata presentata da alcuni genitori.
Venendo a colloquio, ci hanno chiesto costantemente: “Come va mio figlio ? Quanto si impegna ? Quali difficoltà incontra nella sua materia?”, ma nessuno di loro mi ha chiesto: “Cosa stanno facendo di interessante? In cosa consiste questa esperienza di collaborazione? Mio figlio e i suoi compagni stanno migliorando come persone? Come stanno cambiando le relazioni far di loro? Come si è modificato il clima in classe?”.
Mi rendo conto che non basta fare un progetto di educazione ai sentimenti o di apprendimento cooperativo.
Mi rendo conto anche che ci sono molte difficoltà, resistenze e svalutazioni verso l’approccio basato sulla collaborazione” .
E’ utile riflettere su questa contraddizione tra la nostra valorizzazione di progetti pedagogici di apprendimento cooperativo o di educazione ai sentimenti e la svalutazione che ricevono nella nostra società, dove si respirare costantemente un atteggiamento egocentrico di affermazione individuale, anche a scapito degli altri.
Possiamo notare che spesso, all’interno dei valori oggi dominanti, si tende a presentare la vita come una lotta, con l’unico obbiettivo di emergere.
Si esaltano i vincenti e si offendono i perdenti. Si suggerisce implicitamente che per emergere bisogna scalzare gli altri, che l’affermazione di uno consiste nell’esclusione di molti.
Questa è la trama del nostro modello culturale e sociale.
In alcuni contesti la gara comincia fin dalla scuola d’infanzia: bisogna raggiungere dei buoni punteggi per entrare nella scuola primaria, poi per accedere alla scuola superiore, poi per essere ammessi all’università , e infine per ottenere una buona sistemazione professionale.
La vita diventa una scalata per poter raggiungere i posti più elevati superando ed escludendo gli altri.
E’ una mentalità talmente diffusa e considerata normale che quando un insegnante propone dei progetti di apprendimento cooperativo, di collaborazione, di educazione ai sentimenti, viene frainteso dagli studenti, dai genitori e da quei dirigenti scolastici trasformati in manager di tipo aziendale.
Spesso i genitori chiedono ai figli: “Che voto hai preso?”, invece di domandare: “Quali esperienze avete fatto in gruppo? Che cosa è emerso all’interno della vostra classe? A cosa state lavorando insieme? Come riuscite a collaborare? “.
Generalmente i genitori manifestano poco interesse all’esperienza relazionale dei propri figli all’interno del gruppo classe. Mirano ai voti, al risultato.
Molti sono immediatamente pronti a giustificarsi: “Ma alla fine sono solo i voti che contano”.
Questo messaggio individualistico e competitivo si è ormai fortemente radicato nella mente e nel cuore degli studenti.
Forse sono proprio gli adulti che non credono abbastanza al valore della collaborazione a scuola.
Oppure presentano una singolare scissione: superficialmente, manifestano ammirazione verso i progetti di educazione alla collaborazione, ma in fondo pensano sia migliore la competizione, la selezione, il successo del proprio figlio rispetto agli altri:
“Gli altri che non riescono? Si arrangino. La scuola non è un istituto di beneficenza” .
La competizione è molto seduttiva: si insinua nella vanitosa aspettativa dei genitori di avere dei figli prodigio, si radica nell’egocentrismo esaltato di alcuni studenti che, per mancanza di una autentica autostima, hanno bisogno di essere considerati i migliori per sentirsi superiori.
Naturalmente, per raggiungere tale scopo, ci devono essere altri studenti da svalutare e da etichettare come inferiori.
Le domande pedagogiche che ci incalzano sono le seguenti:
Quale tipo di società stiamo costruendo o vogliamo costruire?
Una società competitiva o collaborativa?
Qual è la funzione della scuola in una società competitiva?
Qual’ è la sua funzione in una società collaborativa?
La scuola è al servizio degli interessi economici centrati sul profitto e sulla competizione di mercato?
Oppure è un luogo formativo per tutti, dove ciascuno può dedicarsi all’esplorazione dei propri talenti e alla formazione delle proprie competenze professionali, ma anche culturali ed esistenziali?
Possediamo una cultura della solidarietà e della costruzione del bene comune?
Le risposte a questi interrogativi sono per il momento scoraggianti.
Tuttavia, il compito dell’insegnante è di stimolare ogni studente a porsi domande sul tipo di società in cui viviamo e di orientare un pensiero comune verso la costruzione di progetti esistenziali più autentici, sia personali che sociali.
Il Governo Berlusconi mantiene la promessa: 36.218 docenti e 4.945 classi in meno, a fronte di un aumento di 37.876 alunni. La dieta imposta all’istruzione non migliora la qualità della scuola: nel dossier 2009 di Legambiente i tagli all’istruzione dal 2002 al 2010
Un ringraziamento all’autore, Mario Polito, che ha gentilmente autorizzato la pubblicazione del brano e al Gruppo Comitati-Genitori da cui ho ricevuto la segnalazione.
Leggo alcuni commenti che arrivano su questo blog e mi viene qualche riflessione.
Alcune persone che commentano qui dentro sono legate da un filo comune, un atteggiamento simile rispetto al mondo.
Proviamo a metterlo a fuoco.
Siamo delusi dalla gestione delle attività in questo mondo e in Italia soprattutto.
Troviamo che la politica sia quasi sempre una forma di corruzione più che di libero dibattito per la costruzione delle cose migliori per la gente
Siamo delusi delle forme di protesta finora sperimentate che non portano a nulla, dal ’68 a Grillo, dai comunisti al PD, al No Global, ai radicali, al movimento per la pace etc etc etc
Siamo disillusi della possibilità di cambiamento reale, ma alla fine siamo talmente onesti da vedere che in fin dei conti non facciamo nulla di concreto per cambiare le cose.
Siamo convinti che continuare a gridare non serve (quasi) a niente.
Sentiamo il bisogno di “fare qualcosa” ma NESSUNO sa in concreto CHE cosa.
Questo è ciò che mi sembra.
La REALTA’ di questo “gruppo potenziale” è che ognuno vive una sua realtà ben diversa, quasi sempre a centinaia di chilometri l’uno dall’altro, eppure uno spirito comune ci accomuna.
Come fare a utilizzare questo potenziale di energie e non sprecarlo nell’autocommiserazione?
Come creare un gruppo che possa crescere in numero e in capacità di INTERVENTO sulla società?
Ritorna qui in gioco la mia passione per la scuola, o meglio il mio disgusto per la scuola e la passione per l’educazione.
Perché penso che soltanto l’educazione dei più giovani potrà aiutarci ad uscire dal tunnel e perché penso che riuscire a trasmettere la nostra esperienza sia molto difficile.
Voglio fare una premessa: NON SONO UN EROE. Credo che i “poteri forti” sono in mano a gente senza scrupoli, chiamiamoli mafiosi, corrotti, fascisti, comunisti, quello che vogliamo. Credo comunque che questi poteri dove vedono SERIAMENTE intaccati i loro interessi ECONOMICI sono disposti a commettere qualsiasi NEFANDEZZA per difendere il loro POTERE.
Io non voglio trovarmi nel loro MIRINO. Sono un vigliacco? Va bene. Ma come faccio a combattere una battaglia dove tutti sanno perfettamente nomi e cognomi dei boss, dei padrini, dei capi bastone, dei corrotti, dei corruttori, dei killer e NESSUNO vuole e può intervenire?
In Campania o in Calabria o in Sicilia rivolgersi alla Polizia o ai Carabinieri è PERICOLOSO. Questi “poteri” sono protetti e noi no siamo NESSUNO. Possiamo essere schiacciati come mosche come se niente fosse. E io vorrei continuare a RONZARE ancora un po’!
Detto questo, se solo nel mio piccolo riuscissi a dare un piccolo contributo per formare delle coscienze che iniziano a individuare in questo STRAPOTERE degli ASPETTI ECONOMICI all’interno della nostra società una specie di CANCRO che fa perdere di vista alla razza umana il SENSO della propria esistenza, penso che potrei essere contento di aver dato il mio umile contributo all’evoluzione.
Non mi piace parlare di BENE e MALE che si scontrano sulla Terra e dobbiamo decidere da che parte stare.
Mi piace vedere che ognuno di noi, in Occidente, NON HA SERIAMENTE il problema della sopravvivenza, eppure abbiamo TUTTI un vago senso di infelicità, di insoddisfazione.
Perché? E perché invece di trovare soluzioni a QUESTO problema cerchiamo sempre di risolvere problemi ECONOMICI?
La società insegna ai figli a crescere nel DISPREZZO di chi gli vuole più bene, cioè i genitori.
L’EMANCIPAZIONE dei figli passa attraverso la SEPARAZIONE dai genitori e questa separazione si conquista in modo ECONOMICO, cioè pensando che ciò che è VERAMENTE importante per il proprio EQUILIBRIO non è tanto la capacita di AMARE ed ESSERE AMATI, MA la possibilità di UNIFORMARSI al gruppo dei pari grazie a ABBIGLIAMENTO, TELEFONINI etc etc, cioè a BENI DI CONSUMO che manifestano ESTERIORMENTE il proprio BENESSERE.
Allora forse possiamo cercare di creare la MODA della NON-MODA!
Questa OSSESSIONE di distinguersi dagli altri grazie a un particolare ESTETICO come un orecchino o un tatuaggio o una maglietta particolare etc etc denota in realtà un vuoto di diversità INTERIORE.
Mi rendo conto che sto divagando troppo e questo discorso manca di CONCRETEZZA.
Cosa propongo di CONCRETO?
Un gruppo di studio e di OSSERVAZIONE.
Rapporti ECONOMICI e rapporti AFFETTIVI.
Restiamo pure chiusi dietro ai nostri monitor a picchiettare sulle tastiere. Però iniziamo ad OSSERVARE e a riportare queste OSSERVAZIONI in uno spazio che può essere questo blog o possiamo crearne uno nuovo appositamente.
OSSERVIAMO che TUTTI i giorni DOBBIAMO muoverci per risolvere il nostro quotidiano problema ECONOMICO, ma VOGLIAMO muoverci per ESPRIMERE i nostri SENTIMENTI, le nostre PASSIONI il nostro AMORE.
OSSERVIAMO che un ABBRACCIO o un SORRISO ci rendono molto più sereni di qualunque OGGETTO NUOVO che possiamo COMPRARCI!
Certo per COMUNICARE queste osservazioni bisogna rendere pubblica la nostra vita intima?
Non necessariamente. Possiamo scrivere di altri, o osservare noi ma scrivendo come se parlassimo di qualcun altro.
Creiamo gruppi di ricerca. Cerchiamo di trovare un senso allo stare insieme che non sia necessariamente legato a una protesta.
La sensazione era che semplicemente fosse bello essere lì tutti insieme.
Lo sapevamo tutti che non avremmo bloccato l’orribile decreto, ma poter essere insieme in un momento di unità collettiva era piacevole. Tutti ridevano e sembravano contenti!
Probabilmente qualcuno non sapeva neanche perché era lì ma, SEMPLICEMENTE ERA BELLO esserci.
Allora perché non creare momenti in cui RINUNCIAMO a essere insieme perché vogliamo cambiare il mondo, ma molto più realisticamente STIAMO INSIEME perché SIAMO GIA’ IL CAMBIAMENTO.
Non so se si capisce.
In pratica la PROPOSTA CONCRETA:
Creiamo gruppi che hanno il piacere e il desiderio di stare insieme.
Creiamo gruppi dove osserviamo aspetti ECONOMICI – come fonte di malessere – e aspetti AFFETTIVI – come fonte di benessere.
Creiamo gruppi dove le generazioni si incontrano – nonni, figli, genitori.
Creiamo gruppi di “sopravvivenza emotiva”.
Dimentichiamoci di distruggere il POTERE, creiamo semplicemente nuove fonti di benessere che non hanno interesse per ciò che il POTERE ci contrabbanda come il BENE SUPREMO.
Pensiamo a un FONDO alternativo al SUPERENALOTTO. I posti dove si gioca a questo super enalotto sono sempre più affollati! Quanti soldi vengono buttati via così?
Se soltanto un paese intero utilizzasse i soldi buttati via nel super enalotto con la chimera di un arricchimento INDIVIDUALE in un fondo per la costruzione di un PICCOLO PROGETTO COLLETTIVO la comunità potrebbe usufruire di molti benefici. Pensiamo soltanto a una biblioteca o ludoteca, se proprio ci piace giocare …
Pensiamo a un fondo dove mettere il denaro piuttosto che comprare le sigarette o la droga.
Creiamo spazi dove NON SAPPIAMO COSA FARE, ma vogliamo ESSERCI e SENTIRCI.
Non credo ad un sistema educativo basato sulla punizione e su tecniche comportamentiste ispirate agli esperimenti fatti sui cani dal famoso psicologo russo Pavlov.
Non credo che questi sistemi portino ad una reale crescita degli individui e alla soluzione di problemi.
Ma ovviamente, il nostro ministro dell’istruzione Gelmini, è di parere diverso, considerando che la soluzione proposta per far fronte al bullismo è in sostanza il 5 in condotta …
Ma su quali studi si basa questo rimedio? La Gelmini ha qualche minima nozione di psicologia? Qualcuno l’aiuta?
Io non lo so, però a giudicare dalle proposte, non direi …
Laddove esiste la violenza esiste anche un ambiente che, in qualche modo, la asseconda. Ed è proprio su quell’ambiente che bisogna soffermarsi se si vuole estirpare il problema della violenza alla radice, evitando l’utilizzo della forza e di punizioni più o meno efficaci.
Una ricerca apparsa sulla rivista Journal of Child Psychology and Psychiatry, e capitanata da Peter Fonagy dell’University College di Londra, ha dimostrato che il miglior modo per combattere il bullismo nelle scuole non sia quello di soffermarsi su coloro che compiono atti di violenza, né sugli studenti che ne sono vittima, quanto piuttosto su coloro che stanno ad osservare, studenti o professori che siano.
Utilizzando un nuovo approccio psicodinamico, il team di Fonagy ha sottoposto 4000 studenti di diverse scuole elementari a un programma della durata di tre anni in cui si invitavano gli stessi ragazzi a prendere consapevolezza del proprio ruolo nei confronti degli episodi di violenza, descrivendo e razionalizzando le proprie paure e il grado di empatia nei confronti degli studenti molestati. Nessuna punizione veniva inflitta a coloro che compivano atti di bullismo, e nessun tipo di supporto veniva offerto a coloro che subivano angherie. A tre anni dall’inizio del programma, i risultati dello studio hanno mostrato una significativa diminuzione degli episodi di violenza e di bullismo nelle scuole che avevano adottato il programma rispetto alle scuole di controllo, in cui gli studenti vittime di bullismo ricevano un supporto psicologico continuo.
Secondo Fonagy, la ricerca dimostra come la migliore arma contro il bullismo sia rappresentata dalla consapevolezza, sia del proprio ruolo che di quello degli altri, nei confronti degli atti di violenza. Nessun bisogno di intervenire come paladini della giustizia in aiuto dei compagni molestati, quindi, ma solo cercare di non chiudere i propri occhi, facendo finta di niente.
L’aggressività è una componente umana con la quale dobbiamo necessariamente convivere. Non ha alcun senso condannarla a priori e utilizzare un altro tipo di aggressione, come la punizione e il 5 in condotta, per evitare lo scatenarsi di un’aggressività incontrollabile e con conseguenze a volte drammatiche.
Accettare e iniziare a gestire l’aggressività sembra essere la formula giusta per evitare il dilagare di un fenomeno che sembra più collegato con la incapacità ipocrita degli adulti di accettare qualsiasi forma di aggressività.
In realtà gli adulti continuano ad aggredire e minacciare i ragazzi, specie nella scuola, dove la minaccia del voto, della nota, del 5 in condotta etc etc è in definitiva il maggiore strumento per cercare di contenere l’esuberanza degli studenti.
Invece la possibilità di essere aggressivi, senza per questo fare realmente male a qualcuno, non è contemplata. Si fa semplicemente finta che l’aggressività sia una cosa brutta di cui vergognarsi e con la quale non si può convivere (come la sessualità, del resto)
E’ necessario molto spazio per questi temi, nella scuola!
Ma, ahimè, temo che chi voglia occuparsene seriamente rischia soltanto un bel 5 in condotta!
Il ricordo che ho di lui è nitido. Il suo sguardo dritto, la sua stretta di mano solida, la sua voce pacata e sicura.
Il suo passo che procede affiancando la sua grande sensibilità. La sua partecipazione ai tanti eventi drammatici che accompagnano il nostro lavoro.
La cautela e la prudenza indispensabili per incontrare le altre persone. La necessità di essere sempre vigili e, nello stesso tempo, rilassati, attenti e lucidi.
La confidenza che piano piano ho imparato ad avere con i miei sentimenti, accettandoli e riconoscendoli.
Distinguendo tra quelli che mi appartengono e quelli che arrivano dalle situazioni più disparate.
Per me conoscere il Dott. Volpi è stato un privilegio che mi ha permesso di affrontare le tante vicissitudini della mia vita con una luce supplementare, come se un percorso prima buio prendesse piano piano forma.
Tutto questo è avvenuto con semplicità, senza voli pindarici, senza paroloni incomprensibili. Ma toccando con mano ciò che passava sotto il mio naso senza rendermene conto.
La semplicità è l’aspetto forse più caratteristico di Vittorio Volpi. La sua grande capacità di comunicare e mostrare sentimenti preziosi in modo semplice e immediato, ma inequivocabile.
Comprendere che moltissime persone, anche le più umili, hanno la possibilità di utilizzare gli strumenti psicanalitici per stare meglio, avere un beneficio insieme alle persone che amiamo, o a coloro che sentendo una disponibilità emotiva si rivolgono a noi cercando un aiuto.
Questa è la più grande eredità che mi ha lasciato Vittorio. Un’eredità di cui rimarrò sempre grato.
Ciao Vittorio.
Dott. Vittorio Volpi
TESTIMONIANZE
= = =
Cari colleghi,
mi unisco a voi tutti nel ricordo di Vittorio, del quale ricordo un insegnamento fondamentale: l’ umiltà nell’esercitare la nostra professione e il grande rispetto e attenzione nei confronti della persona in richiesta d’aiuto. Ho ricevuto una lezione di umiltà quando Vittorio mi faceva pulire i gabinetti delle sedi dove svolgevamo i corsi residenziali, e non l’ho mai dimenticata! A lui devo il mio profondo rigore deontologico nei confronti di questa professione che non è forma, ma sostanza di un modo di esercitare un mestiere affascinante, ma anche “rischioso”. Forse è anche per questo che, sebbene non abbia lasciato l’insegnamento, sono riuscita a sentirmi sempre una “psicanalista imprestata alla scuola” come spesso Vittorio mi definiva.
Un caro saluto a tutti
Marina Ferzetti
= = =
–condivido profondamente le parole che accompagnano il ricordo di Marina per me la sua persona rimane un ricordo vivo non solo nella sua immagine fisica con la sua voce diretta, calda e autorevole, ma il mio ricordo si fa carico di odori,profumi, mele biologiche, supervisioni in piena notte,sedute il giorno di Natale,l suo piccolo balcone con le zue piccole piantine e la nostra grande curiosità di sapere di più della sue vita privata e tanto altro ancora ….
Susanna
===
Care colleghe, cari colleghi,
come sapete, oggi 16 ottobre ricorre il 10° anniversario della scomparsa di Vittorio Volpi.
Sentiamo di non dover aggiungere altro a quanto intensamente scritto da Giorgio, Marina e Susanna.
Vorremmo pertanto ricordare ed evidenziare la vitalità degli strumenti che Vittorio Volpi ci ha trasmesso, invitando ciascuno di voi a inviare ai colleghi un messaggio in forma di metafora.
Da parte nostra trovate in allegato un racconto dal titolo “La Leggenda del Bosco Incantato”.
Un caro saluto a tutti
Laura Stellatelli e Marco Fiorini
Ciao a tutti.
Sono Stefano: non voglio dire cose già da me dette su Vittorio e di come
l’incontro con lui ha cambiato la mia vita.
Posso aggiungere però che tale incontro non è stato solo quello con
una persona eccezionale, ma soprattutto è stato l’incontro
con quella parte di me più nascosta e migliore, che mi
ha restituito la pienezza della mia persona e che mi ha permesso di accettare
anche gli aspetti più critici e problematici di me stesso.
Ciao a tutti, ciao Vittorio.
Stefano De Luca
===
Ciao a tutti,
Vorrei fare anche io la mia parte nel ricordare il dott. Volpi portando alcune cose che ora rammento con il sorriso sulle labbra. Partendo dal ricordo di Giorgio Mancuso che parla della stretta di mano, credo di essere stato uno degli ultimi a potergliela stringere, perche negli ultimi anni Vittorio non poteva più dare la mano visto che aveva delle forti screpolature e nonostante questo ogni incontro con lui non ti lasciava certamente indifferente. Ricordo altre cose buffe come le sue camice a quadrettoni, di una semplicità disarmante, il suo zainetto con cui ripartiva dopo aver chiuso lo studio e mi superava in corsa dopo aver terminato la mia seduta con papà; lo studio che era sommerso di carta e le sedie di legno a dispetto di tutta la formalità e la facciata con cui ci poniamo verso il mondo esterno. Vittorio mi ha fatto innamorare del mio lavoro, insegnandomi l’impegno e dedizione verso i nostri pazienti, che lui una volta ha riassunto con la frase: “se ami veramente i tuoi pazienti, spediscili tra le braccia del loro genitore”. Le gite in montagna per fare ricerca, le supervisioni kilometriche, la visione di alcuni film “allucinanti” nel cinema di via de amicis, le ultime giornate di studio che mi hanno permesso di scrivere relazioni che sono state poi pubblicate. Sicuramente l’ho incontrato in uno dei suoi periodi maggiormente prolifici e quindi ho potuto imparare tanto dalla sua esperienza, tante volte mi ha fatto arrabbiare perché mi sembrava di una disorganizzazione pazzesca (come nell’organizzazione delle giornate di studio), ma molte sue frasi sono rimaste come delle pietre miliari e si sono pian piano sedimentate nel mio cuore, nel mio modo di vivere e sentire la professione e i rapporti umani.
non ho mai più trovato in altre realtà lavorative la stessa dedizione e impegno o per meglio dire qualità nell’aiutare le persone sofferenti, per quanto abbia fatto altri percorsi formativi che mi hanno reso un pò più eclettico, sono sempre tornato alle radici, perché quanto mi ha trasmesso ha un valore di unicità irripetibili.
Ti saluto Vittorio, e un saluto anche a tutti i colleghi con l’augurio che si possa proseguire nel diffondere il suo messaggio.
Fabrizio
===
Carissimi Colleghi, con un po’ di ritardo inviamo il nostro contributo in
ricordo di Vittorio Volpi, con la speranza che presto si possa condividere
e rendere visibile lo stato “dell’ arte”, trasformando il freddo blocco e
la fatica a comunicare in qualcosa di più fluido e caldo …
Un saluto a tutti voi.
Associazione A.st.ri.d (Simona Carlevarini, Maria Casiraghi, Carmen
Greco,Giovanni Ponzoni, Elena Rovagnati).
A Giorgio Mancuso,che ringrazio per avermi dato la possibilità di ricordare il dott Volpi, nonchè a tutti i colleghi.
Oggi, 16 ottobre, ricorrendo il decimo anniversario della morte del dott Volpi, voglio ricordarlo nel periodo della malattia. In quel periodo che il dott Volpi affrontò con umiltà, pazienza e coraggio. A testa alta e con grande dignità.
Lui che era l’uomo della parola fu ridotto dalla malattia al silenzio.
Lui che era l’uomo dell’azione si sentì costretto all’impotenza.
Lui che aveva conosciuto la fatica, la passione e il fervore della ricerca scientifica, ma anche la soddisfazione per i risultati operativi conseguiti, si vedeva finito. Obbligato a fare i conti con una condizione di apparente fallimento.
Io però, che in quel periodo mi recavo quasi quotidianamente a dettargli delle poesie al computer affinché eglirileggendole, potesse riprendere l’uso della parola, ebbi l’impressione che, proprio nell’accettazione della propria dolorosa realtà, il dottor Volpi desse prova della sua grandezza d’animo.
La sofferenza, infatti, lungi dal domarlo-continuòa presenziare alle sedute condotte dalla dott.ssa Camana, ed era ancora lui l’analista, anche se parlava lei- favorì in lui, allenandolo alla pazienza, un’ulteriore maturazione umana. Fu l’occasione di un processo di intima purificazione e quindi di una profonda crescita interna.
Di un’esperienza che lo condusse, a mio avviso, a non temere la morte. A considerarla, anziché un’angosciante visitatrice, un’amica attesa con gioia, in quanto la stessa, invece di fargli del male, lo avrebbe introdotto in un mondo in cui ogni lacrima viene asciugata. In cui si sarebbe compiuta la di lui piena realizzazione.
Proprio perché mi sembrò di intuire tutto ciò, diedi da leggere al dott Volpi, nella speranza che lo confortasse, la seguente preghiera:
“Non voglio pregare d’essere protetto dai pericoli,ma di sfidarli impavido.
Non voglio implorare alleviamento di pena,ma amore per vincerla.
Non voglio cercare alleati nella battaglia della vita,ma il mio rinvigorimento.
Non voglio gemere nell’ansioso timore di non salvarmi,ma spero di avere pazienza per ottenere la mia redenzione.
Concedimi di non essere codardo sentendo la tua misericordia soltanto nel mio successo,ma di riconoscere il soccorso della tua mano anche nella mia sconfitta”.
A distanza di tanti anni voglio celebrarne quindi l’esempio e l’insegnamento. Voglio rendergli omaggio ed esprimergli ancora una volta la mia riconoscenza, giacchè,se da tanti anni vivo costantemente unita all’amore della mia mamma, lo devo a lui che, se fu per me strumento di salvezza, mi ha consentito-e consente- di essere a mia volta strumento di salvezza per tante persone che ricorrono al mio aiuto.
Maria Grazia Palestra, Como 16.10. 2008
= = =
16 ottobre 1998 Il coraggio del cambiamento.
A dieci anni dalla sua morte,fra i ricordi personali dominano ancora quelli dei suoi ultimi quaranta giorni su questa terra.
Affiancandolo nel lavoro,speravo,con altri operatori,che potesse recuperare la salute e restare qui.
Fu la sua estrema lezione di coraggio e di amore per la vita,che spero di non dimenticare mai.
Poi c’è il ricordo di tutti i giorni, nel lavoro,ove ritrovo ciò che egli insegnò a ritenere importante:
la possibilità di approfondire oltre misura la ricerca nel campo dell’identità personale,
gli strumenti che mise a punto,
i risultati che verificò e che i suoi allievi possono continuare a verificare,
i benefici che ne ebbero tante persone in difficoltà,e che potranno avere,tanti altri,oggi e in futuro,avvalendosi del rapporto col proprio genitore omologo.
A chi l’ha conosciuto potrebbe dispiacere che egli non abbia ricevuto, in vita,un riconoscimento dalla comunità scientifica adeguato all’entità delle sue scoperte,che pure condivise e comunicò con tutti i mezzi possibili. Mi rendo conto che ciò avviene spesso,in ogni campo di ricerca, quando qualcosa di nuovo anticipa ciò che poi diverrà evidente.Allora ripenso alla prospettiva in cui egli ne parlava:”Anche se un solo bambino ne avrà beneficio,ne sarà valsa la pena”.
Dato che sono già molti,bambini e adulti,che ne hanno beneficiato,anche adesso “ne vale la pena”.
Perciò la mia gratitudine personale,non solo per avermi introdotto a un lavoro che non smette di entusiasmarmi,ma,ancora di più,per avermi avviato a riscoprire ogni giorno la fiducia nelle potenzialità del rapporto con mia madre,si unisce idealmente alla ritrovata fiducia in sé di coloro che ricevono conferma d’identità dal rapporto col loro genitore omologo. Sia chi era stato colpito dalla malattia psichica endogena,sia chi aveva conosciuto la malattia psichica esogena.
Speriamo dunque,come suoi allievi,di ricordarlo,e farlo ricordare,in continuità con lo slancio che egli potè imprimere alla ricerca scientifica per la promozione della salute mentale.
Accludo il profilo biografico tratto dagli atti delle Giornate di Studio del 1997 e 1998,di prossima pubblicazione presso Analisi Psicologica,a cura del Centro Italiano di Ricerca Scientifica Operativa nella Psicanalisi e nell’Educazione.
Giovanna Camana 16 ottobre 2008
= = =
(Dott Vittorio Volpi. Nota biografica a cura del C.I.R.S.O.P.E.
Da”La causa della malattia psichica nei bambini e negli adolescenti:come si previene ,come si cura,come si guarisce”,atti delle giornate di studio del 6,7,8,dicembre 1997Milano,di prossima pubblicazione)
Vittorio Volpi
Nato a Milano l’1-11-1936,ove risiede fino alla scomparsa il 16-10-1998,laureato in lettere presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e specializzato in Psicologia presso lo stesso Ateneo,a seguito dell’analisi personale esercita l’attività di psicoanalista.
Studioso e ricercatore attento e appassionato,pur giovandosi delle supervisioni più prestigiose del momento,e apprendendo l’approccio sistemico direttamente dalla dott.Selvini Palazzoli,persegue una costante ricerca intorno al problema della sofferenza psichica,con particolare riferimento ai disturbi molto gravi,per i quali la psicoanalisi risulta inadeguata,e attua perciò una rigorosa,pluriennale,osservazione, sia sui versanti psicosociali che intrapsichici,elaborando così,dal punto di vista della psicoanalisi,insieme ad alcuni altri ricercatori,i dati che discipline e fenomeni culturali emergenti propongono in quel periodo storico.
Nasce così,nel 1975,il Centro Studi di Psicoterapia e Psicodinamica dell’Educazione,che prenderà,molti anni più tardi,il nome di Centro Italiano di Ricerca Scientifica Operativa nella Psicanalisi e nell’Educazione.
Alle molte attività rivolte alla cura dei disturbi psichici si affianca una continua ricerca operativa rivolta alla promozione della salute mentale,applicando e approfondendo le intuizioni iniziali dello scienziato sulla genesi ed evoluzione dei disturbi,in ordine al problema centrale dell’identità personale.
L’osservazione sulle due modalità di rapporto, compresenti e disgiunte,presenti in ogni aspetto della vita personale e sociale,chiamate modalità simbiotica e modalità economica, e del loro interagire nella vita di ciascuno,consente di mettere a punto un approfondimento sui rapporti primari che sono all’origine affettiva e psicologica dell’essere umano,e mettere in luce l’importanza del rapporto con il genitore omologo,che diviene,nella pratica clinica del Centro,il fulcro del trattamento.
Mettendo al centro del setting un rapporto vivente anziché un soggetto singolo,(il genitore omologo in persona,quando vivente,è presente nella seduta) l’applicazione degli strumenti operativi della psicoanalisi è anch’essa trasformata,e così pure la formazione degli operatori,ai quali si chiede di fare la medesima verifica del rapporto col proprio genitore omologo e di imparare ad applicare i consueti strumenti di lavoro al nuovo contesto.
Anche l’analisi in coppia,(che ha le medesime caratteristiche, digiungere ad avvalersi,ciascuno dei partner, del rapporto col proprio genitore omologo,procedendo in questo cammino insieme al proprio partner),già messa a punto per i trattamenti degli adulti in coppia,viene applicata alla formazione.
Con la Scuola di Psicanalisi,annessa al Centro,(e in seguito ripresa in più gruppi ad opera di vari allievi del dott.Volpi),la formazione di numerosi operatori consente di esplorare i vari aspetti del lavoro in équipe,e prendere in carico casi molto complessi.
Il rigoroso approfondimento dei principi finora verificati porta ad un’applicazione metodica e coerente, nel campo clinico,riguardo ai genitori protagonisti della cura clinica dei propri figli ammalati.
A questo sviluppo del metodo si stava dedicando il dott.Volpi,quando l’ha colto la morte.
All’approfondimento in campo clinico si è sempre affiancata la ricerca operativa nel campo dell’educazione, della prevenzione e della promozione della salute mentale.
La rivista Analisi Psicologica,edita dal Centro e da lui diretta,è stata il principale veicolo di divulgazione,insieme a Corsi e Giornate di studio,dei risultati della ricerca.
Due Cooperative sociali,fra i vari gruppi ed organismi sorti in questo ambito,sono sorte con l’intento di portare i benefici di questi tipi di intervento agli utenti dei vari servizi istituzionali preposti al recupero e alla promozione della salute mentale.
Bibliografia:
Autorità e socializzazione-Analisi Psicologica 1978
Volpi V.“Manuale di psicanalisi dell’età evolutiva”, Milano, Analisi Psicologica, 1984.
Volpi V.“Manuale di psicanalisi del rapporto di coppia”, Milano, Analisi Psicologica, 1988
Volpi V.“Bambini e adolescenti che soffrono. Il disagio psichico in età evolutiva”, a cura di V. Volpi, Padova, Sapere, 1997.
“Rapporto di coppia e salute mentale dei figli”, atti delle giornate di studio, Milano 7 e 8 Dicembre 1996, Milano, Analisi Psicologica, 1998, a cura di V. Volpi
Sembra che la psicanalisi sia una scienza per pochi addetti ai lavori, specialisti super specializzati, strizzacervelli capaci di interpretare i sogni, di indovinare i pensieri del prossimo, se non proprio leggerli e, capaci di previsioni al limite della magia.
Per la gente comune chi si rivolge a uno psicologo o a uno psicanalista è
MATTO
Ugo Pierri: "Tarocchi - Il Matto" (serie; anno 1987)
e chi lo fa evita di raccontarlo in giro, per evitare che si pensi male di lui!
A scuola
si impara la matematica per saper far di conto
si impara a leggere e scrivere per poter accedere alle informazioni e comunicare
si impara una lingua straniera per comunicare con tutto il mondo
si impara le geografia per orientarci nel mondo
si impara la storia per sapere qualcosa delle nostre origini
si impara il disegno per poter esprimersi in forme diverse
si impara la chimica, la biologia, la fisica
si riesce perfino a fare un po’ di sport per mantenersi in forma
però
non si riesce a imparare niente riguardo a:
il linguaggio del corpo, le induzioni emotive (ovvero come si partecipa emotivamente ai sentimenti degli altri) e relative conseguenze
gli aspetti salutari del rapporto d’amore primario (tra padre e figlio e madre e figlia)
le interferenze sociali nei rapporti primari come principali cause di disagio psichico
lo sviluppo sessuale nell’adolescenza e relativi aspetti dell’evoluzione emotiva
il contatto fisico, come fonte di benessere
Ecco che di queste cose si occupa la psicanalisi, e queste cose fanno parte della nostra vita quotidiana, ma nessuno ci aiuta a gestirle.
Possiamo avere un po’ di fortuna, se il corso naturale delle relazioni familiari prevale sui tanti aspetti di natura economica che condizionano oggi la vita delle famiglie.
Un tempo era importante per l’uomo avere una forte muscolatura, che gli garantisse di poter effettuare lavori e mantenere alte le sue probabilità di sopravvivenza.
Oggi la struttura muscolare riveste ormai ben poca importanza nel successo delle nostre strategie di sopravvivenza. Abbiamo maggior necessità di una buona automobile, di computer e telefoni cellulari e di tutti i macchinari che ci facilitano la vita e ci permettono di essere produttivi.
Non interessa più produrre qualcosa che sia davvero utile, ma è più importante produrre qualcosa che si vende facilmente …
Nascita, allattamento, crescita, socializzazione, vita scolastica, vita di coppia, rapporti tra genitori e figli …
Tutte queste cose non hanno niente a che vedere con le cose che si imparano a scuola!
Non c’è nessuno spazio per questo.
E’ più importante sapere la distanza tra la terra e la luna, nozione che si ricorda per circa una settimana, giusto per poterla ripetere all’interrogazione del giorno dopo, che non capire cosa ci fa stare male in un momento difficile, o quantomeno acquisire qualche strumento per poter capire meglio.
La psicanalisi aiuta nella vita quotidiana. Tutti coloro che hanno una vita sociale potrebbero avere molti benefici utilizzando le conoscenze scientifiche acquisite dopo molti anni di ricerche.
Certo, non tutti devono diventare psicanalisti, ma se ci fosse una cultura di base ben più preparata in questo campo, piano piano non avremmo neanche più bisogno degli psicanalisti.
Occorre una volontà, e una scienza psicologica che concordi su almeno poche cose fondamentali.
Invece purtroppo abbiamo un numero esuberante di psicologi, dove ognuno cura il suo orticello, e troppo spesso un metodo è in completo contrasto con l’altro, offrendo così una immagine della scienza psicologica assai sfocata, imprecisa, impalpabile.
Penso che se uno psicologo afferma qualcosa possiamo trovarne probabilmente un altro che afferma l’esatto contrario …
Risultato: la psicologia sembra una scienza per ciarlatani… e non le si dà lo spazio di cui la nostra società avrebbe bisogno.