Archivi tag: SOCIALIZZAZIONE

W l’Amore !

Fa sorridere trovarsi in fila al supermercato e ricevere sul telefonino i messaggi, quasi in contemporanea, di qualcuno che apprezza il mio blog!

Liliana che addirittura propone un “Giosby for President” che davvero mi commuove…

e Cosimo Archibugi, che intuendo la mia dedizione alla psicanalisi, per me utilissimo strumento per districarsi nelle vicende della vita, seppure “non condividendo” considera “giusta”la mia fiducia nell’amore.

Ma questa “fiducia nell’amore” è un tema che va approfondito, e che vorrei spiegare un po’ meglio.

Infatti non si tratta di un tema “morale”, come inteso da Cosimo Archibugi, ma di un tema scientifico.

La psicanalisi è una scienza che si occupa dello studio della psiche, ma vive nella contraddizione apparente per cui soggetto ed oggetto di studio coincidono.

Spiego meglio: se io, Giorgio, intendo osservare Carlo, i suoi sentimenti, le sue emozioni, ciò che di lui non è “misurabile” come la temperatura del corpo o la pressione arteriosa, il peso e l’altezza e il colore degli occhi …, dispongo soltanto della mia sensibilità.

Al di là di ciò che Carlo “dice” con il linguaggio verbale e non verbale, esiste ciò che Carlo “suscita in me stesso”: emozioni, paura, rabbia, disagio, amore, odio etc etc.

In questo senso l’idea generica dell’amore è soltanto una chiave di lettura del mondo.

Ognuno di noi per sopravvivere ha bisogno di amore. Quando ci si sente non amati si perde anche la capacità di amare. E questo molte volte ha conseguenze drammatiche.

Poi l’amore permette di sopravvivere soltanto se si hanno sufficienti mezzi “economici” di sussistenza.

“Tutti sappiamo che i bambini del terzo mondo, nonostante le cure materne, muoiono di fame.
Pochi invece sanno che anche i bambini nei paesi a più elevato sviluppo socio-economico, che hanno a disposizione cibo in abbondanza e cure igieniche adeguate, si ammalano fino a morirne, se sono privati delle carezze e del contatto di cui hanno così tanto bisogno. René Spitz (Il primo anno di vita), noto neuropsichiatra infantile degli Anni Trenta, ricercò e studiò a lungo (ne “Il primo anno di vita del bambino”) le cause del marasma infantile, malattia caratterizzata da progressivo deperimento organico, che portava a morte i piccoli ospiti degli orfanotrofi americani.

E alla fine giunse alla conclusione che nell’ambiente asettico, bianco e silenzioso delle nursery, quello che mancava era un contatto caldo, affettuoso, variato, che costituisse lo stimolo della vita e della crescita.
I bambini in stato di carenza affettiva attraversavano vari stati di depressione sempre più profondi fino a lasciarsi morire.”

(FONTE: Tatto e bisogno di contatto pag 32/33)

Ciò che noi proviamo, in rapporto con gli altri, è un continuo mutamento dei nostri stati d’animo.

Noi cambiamo continuamente, e una grande parte dei cambiamenti del nostro sentire “amore” è in rapporto al nostro vivere insieme agli altri in un continuo scambio emotivo ed affettivo.

Adesso io ritengo che la sopravvalutazione degli aspetti economici, su cui tutto il mondo politico punta per ottenere i voti per essere eletti e riuscire a governare un Paese, con notevoli vantaggi economici anche per se stessi, sia una malattia del nostro mondo da cui difficilmente potremo guarire.

  • Il percorso di riappropriazione della nostra affettività, poterla riconoscere come un aspetto fondamentale della nostra esistenza.
  • La capacità di leggere il proprio vissuto, la propria sensibilità e accettarla come una ricchezza che ognuno di noi possiede e che può utilizzare per godere della propria vita.
  • Lo scambio affettivo continuo che è al centro dell’esistenza.

Questi sono gli aspetti che potremmo porre al centro della nostra vita politica, della nostra proposta di riforma dell’organizzazione sociale.

Perché se il concetto di ricchezza non è più legato al possesso di beni materiali, bensì alla propria ricchezza interiore, alla propria ricchezza affettiva, allora i parametri su cui centrare la propria attività politica e sociale cambiano completamente.

Le nostre rivendicazioni chiederanno maggior TEMPO piuttosto che maggior DENARO.

Ma invece viviamo in un epoca dove la cultura dell’ultimo vincitore delle elezioni (non dimentichiamoci di Berlusconi, un simbolo della scelta che una buona parte di Italiani ha fatto) è quella di un uomo che con i soldi può comprare qualsiasi cosa, dai calciatori ai giudici, dai parlamentari alle donne.

E proprio su questo sistema di comprare le donne, che poi lo ritroviamo nella vita sociale di una gran parte dei maschi italiani che si rivolgono alla prostituzione, che cade completamente il tema dell’amore.

L’amore, nel suo aspetto fisico, perde di significato in senso emotivo e diventa semplicemente una moneta di scambio economico.

E così il cerchio si chiude, i valori sono ribaltati e la modalità di rapporto economica prevale completamente sulla modalità di rapporto simbiotica.

Perciò il mio “W l’Amore” non è uno slogan “morale”, ma il frutto di una ricerca scientifica che ci dimostra che senza l’amore si muore, esattamente come si muore senza cibo.

Quando penso ai numerosi suicidi di questi tempi, anche di imprenditori che si ritrovano sommersi dai debiti, immagino queste persone che hanno dedicato la vita al lavoro per ritrovarsi con una situazione dove il denaro rappresentava la totalità dell’esistenza, e la sua mancanza ha determinato la loro tragica scelta. Persone che purtroppo hanno perso la dimensione e l’equilibrio degli aspetti della vita, un bene prezioso, in cui il prevalere del dio denaro può uccidere…

Un sentito “Grazie” ai generosi commenti che mi hanno stimolato per scrivere quanto sopra!

Articoli correlati:

Allattamento materno: chi ben comincia … è a metà dell’opera!

Psicanalisi: una scienza per tutti !

Aggressioni nel web

Si fa presto a criticare in questo mondo, è la cosa più facile.
Attacco e contrattacco, polemica mischia insulti e rissa.
Può essere un atteggiamento nella vita, dove si fa presto a trovarsi coinvolti in una rissa per futili motivi, ma anche sul web, che in fondo è un posto dove spesso ci si frequenta tra perfetti sconosciuti, il “vaffanculo” è un must.
Bastano due parole di troppo e scatta.
Su Facebook si toglie l’amicizia, amicizie create spesso anch’esse per futili motivi.
Sui blog ci si insulta e si banna. Si censura, si manda affanculo e poi si impedisce al “molesto” frequentatore di continuare a scrivere nel proprio spazio.

E’ anche una autocritica la mia.

Le cose che mi suscitano più rabbia sono due: le bugie e la censura.
Spesso, se ho tempo e se ho voglia, quando mi imbatto in queste cose mi esprimo, cercando di mettere in luce l’incongruenza e l’ingiustizia.

Divento aggressivo anch’io? Sì, a mio modo sì. Evito gli insulti, cerco di essere più efficace, di dimostrare l’inconsistenza degli argomenti che mi vengono proposti.
Ma, in un modo o nell’altro, manifesto una certa aggressività, non fosse altro che cercando di mettere in ridicolo l’interlocutore.

D’altra parte non ricordo mai, forse sbaglio, di qualcuno che, viste le mie critiche per lo più sensate, abbia scritto: “Sì, mi sono sbagliato. Credevo in un modo ma mi hai mostrato qualcosa di diverso, a cui non avevo ancora pensato…”
No, niente.
Solo gente che sparisce. Che ti scrive: “qui non scriverò mai più, è inutile”. Oppure che ti insulta. Che va via sbattendo la porta. Che cancella quello che ho scritto e chiude i commenti. E via dicendo.

Mi chiedo se il mondo abbia perso il senso della ragione. Se siamo abituati ormai soltanto ad un modo di pensare da tifosi: la ragione sta di qua ed il torto sta di là. Qualsiasi cosa accada.
Si sposa uno schieramento e quello è per sempre. Una bandiera da tenere alzata e da picchiare in testa a chi la pensa diversamente.

Eppure esiste un modo diverso di dialogare. Un modo che probabilmente sul web non è posssibile, perché riguarda anche la sfera privata.
Quando discutiamo con qualcuno bisogna pensare di mettere in discussione anche noi stessi. Così potremo forse insegnare ed imparare. Così discutere sarà una cosa utile.
Altrimenti continueremo a giocare a braccio di ferro, cercando solo la ragione ed il torto, il giudizio e la condanna, la sentenza e la fucilazione dell’avversario.

La nostra società è costruita con continui giudizi. La scuola che cosa è se non una continua verifica, una continua valutazione.

Aiuta a crescere? O aiuta a pensare che il mondo è semplicemente diviso tra buoni e cattivi, bravi e incapaci?

E all’interno della famiglia non si riproducono gli stessi meccanismi? Premi e punizioni, a secondo del MERITO, altro grande mito dei nostri tempi.

Quando invece all’interno della famiglia l’amore e l’affettività esistono al di là di qualsiasi capacità e merito sia dei genitori che dei figli. Mentre il sistema scolastico e sociale cerca di insegnare ai genitori di “non amare” i figli “non meritevoli”.

E’ un concetto schematico, ma il gioco del ricatto in famiglia è quanto mai comune: “se sei buono e bravo poi…”

Ma tornando alle lotte nel web, il presupposto errato è forse quello che ognuno di noi non può più cambiare. Ha assunto determinate convinzioni e atteggiamenti e BASTA!
Per “discutere, ragionare, crescere” non c’è più spazio. C’è spazio solo per combattere!
Non voglio crederci e cercherò un poco più di umiltà.
Chiedo scusa a tutti coloro che, in un modo o nell’altro, ho ferito.
Anche se mi piacerebbe leggere qualche loro parola di apertura, di desiderio di confronto reale.
Fuori dal gioco “io ho ragione e tu hai torto!”
Possibile?

Certo è difficile per qualcuno come me che è cresciuto in mezzo agli scontri tra studenti e polizia, tra morti ammazzati e promesse di vendette…

 

Ma crescere non è un optional, è una necessità!

Articoli correlati:

Violenza, gioco e ideologia

Spezzagli le gambe! Lo sport, l’esempio e la buona educazione.

Comunismo, consumismo, marijuana e adolescenza.

E’ un mondo difficile.

Ognuno di noi contiene miti antichi e recenti e li esprime come può. Raramente questa ricchezza di messaggi che ognuno di noi cerca di trasmettere viene accolta, compresa e interpretata.

Il primo mito è quello della uguaglianza. E’ una storia antica come il mondo, forse…

Nel mito risale addirittura ad Adamo e d Eva, quando il serpente promette ad Eva di diventare uguale a Dio nutrendosi del frutto proibito, dall’albero della conoscenza del Bene e del Male.

Anche gli antichi Greci apprezzavano l’uguaglianza, poi , saltando nei secoli, Gesù Cristo proclama l’uguaglianza di tutti gli uomini, e la Rivoluzione Francese (Liberté, Égalité, Fraternité) si richiama ancora allo stesso concetto.

Il XX secolo è una continua ricerca di uguaglianza, di giustizia, di libertà. L’uguaglianza proposta da Marx non è una piatta robotizzazione umana, bensì: «Da ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!»

Il mito della Rivoluzione giovanile, il ’68, le lotte studentesche si ispirano sempre ad un concetto di uguaglianza e di parità tra gli uomini. Che poi diventa parità di diritti per le donne. Sembra che tutte le aspirazioni umane siano legate al concetto di uguaglianza.

Questo è un primo aspetto.

Contemporaneamente interviene un uso sempre più massiccio della pubblicità, con strumenti sempre più sofisticati si cerca di condizionare le scelte di tutti noi, che non siamo più uomini e donne con le nostre gioie e i nostri dolori, le nostre speranze e le nostre emozioni, ma diventiamo tutti i CONSUMATORI.

I miti che si scontrano diventano allora l’uguaglianza ed il consumo. Vogliamo essere uguali, ma nel consumo vogliamo anche distinguerci.

Da un lato i prodotti promessi ci permettono di appartenere ad una società che si riconosce simile, se non uguale, in base a segnali inequivocabili dell’abbigliamento (un marchio piuttosto che un altro, etc.) dei gusti e delle mode  in generale.

Dall’altro sono sempre i prodotti che consumiamo ci permettono di distinguerci dagli altri, di possedere in esclusiva qualche oggetto del desiderio che suscita invidia, che ci rende “desiderabili”, come fossimo anche noi semplici manichini di una vetrina, portatori di un messaggio che, a nostra insaputa, ci spersonalizza rendendoci più oggetti che soggetti.

In tutto questo contesto, descritto qui per altro in modo alquanto generico ed approssimativo, si innesta l’adolescenza.

La famiglia è per eccellenza il luogo della disuguaglianza. Genitori e figli sono profondamente diversi, anche se simili.

A tutti è evidente la differenza tra un bambino e un adulto. Le possibilità di azione di un adulto sono sempre aspirazioni dei bambini, semplici sogni per tutta l’infanzia.

Quando sarò grande potrò …. non tutto ma di tutto, e anche di più…

Arriva un momento in cui questo essere piccoli ed essere grandi si mescola in una miscela esplosiva.

Il corpo si sviluppa e l’aspetto fisico è ormai simile a quello di papà o di mamma. Magari un ragazzo ha più forza fisica del suo papà e si sente più forte di lui. Una ragazza si sente più bella della mamma…

Il classico gioco della vita.

La disuguaglianza nella famiglia diventa un motivo di conflitto. E’ messa in discussione. Ogni minuto. Quello che ieri non si poteva fare oggi è possibile. Ed improvvisamente i ragazzi e le ragazze vogliono poter fare tutto e subito.

I genitori ovviamente sono spaventati e sono costretti a trovare una posizione di contenimento di tanta esuberanza, assumendo sempre il ruolo di moderatori, proponendo o imponendo regole, orari, limiti.

Diventano insomma, nella visione dei ragazzi, l’ostacolo che si incontra nella strada per la libertà piuttosto che coloro che li accompagnano nella conquista dell’autonomia.

La disuguaglianza nella famiglia, vissuta fino al giorno prima in modo del tutto naturale, diventa insopportabile, vero e proprio campo di battaglia dove ogni regola va infranta, ogni orario va allungato,ogni limite va ridimensionato.

Ogni famiglia ovviamente ha la sua storia e le sue modalità, ma i temi in generale sono questi un po’ per tutti.

Si inserisce però, in questa dinamica naturale, il fattore CONSUMO.

L’emotività nell’adolescente è particolarmente sensibile, proprio perché si attraversa una fase di rapide trasformazioni che costringono ad adattamenti non sempre altrettanto veloci.

Il bisogno di essere adeguati, simili, UGUALI al gruppo dei pari, agli amici, ai compagni, sembra essere l’interesse principale.

E siccome il tentativo sociale è quello di spersonalizzarci per ridurci a semplici CONSUMATORI, per ovvi interessi economici, ecco che gli adolescenti sono facili prede dei consumi più banali, inutili e, spesso e purtroppo, dannosi.

La prima proposta di “emancipazione” per i ragazzi è la sigaretta. Terribile trappola a cui ben pochi ragazzi riescono a resistere.

Più raccontiamo che di sigarette si muore e più i ragazzi ne sono attratti. Ovvio, in una società in cui gli adulti sono grandi CONSUMATORI di tabacco, i ragazzi sono molto propensi a compiere questo gesto per sentirsi finalmente grandi. Banale e micidiale.

I morti si contano negli anni successivi.

🙁

Ma subito dopo la sigaretta arriva la trappola della marijuana.

Qui i fattori sono molteplici. Diverse le attrazioni.

Prima di tutto la trasgressione è più forte. Si crea subito una necessità di nascondersi dai propri genitori. Si sta usando una sostanza illegale. Ci si allontana dai genitori che, nella mente dei ragazzi “mai potranno capire…”

Ma poi, il messaggio micidiale insito nel consumo di marijuana, è quello dell’uguaglianza.

Il rito del consumo prevede un cerchio di persone che condividono lo spinello o il cilum.

Tutti fumano dallo stesso oggetto. Tutti ricevono le stesse sensazioni. La marijuana diventa la droga dell’uguaglianza e dello sharing, della condivisione, della democrazia, del comunismo dove Facebook è il luogo dell’incontro che non finisce mai, continua dalla piazza di ritrovo fino alle aule della scuola o le stanze di casa, grazie anche alle tecnologie portatili che ci permettono di continuare una vita collettiva in un rito di consumo senza fine.

Così il gruppo di ragazzi diventa un gruppo di UGUALI, luogo di pace e di solidarietà, dove UNO VALE UNO… (come contrabbandano anche gli adescatori di tardi adolescenti come il M5S di Beppe Grillo)

Contrapposto alla famiglia, dove la DISUGUAGLIANZA ancora esistente diventa terreno di battaglia, dove i genitori diventano un semplice supporto economico, ma sono spesso vissuti come ostacolo alla propria indipendenza, alla propria libertà, alla propria conquista di una identità che non è più quella del bambino ma non è ancora quella dell’adulto.

E allora? I genitori restano disorientati, i ragazzi sono disorientati e la confusione a volte può prevalere e creare situazioni sempre più complesse con matasse sempre più difficili da dipanare.

Anche perché il gruppo di ragazzi può diventare branco, piccola gang. La condizione di illegalità della marijuana li mette comunque in una posizione illegale, dove una volta infranta la legge in modo così banale la strada per nuove infrazioni è aperta, come il piccolo furto o lo spaccio… E tutto questo può aggravare situazioni che magari sono gestibili anche con maggiore serenità.

Per i genitori diventa allora necessario dotarsi di adeguati strumenti di lettura di tutte queste situazioni potenzialmente esplosive, per non vedere i propri figli allontanarsi sempre di più in una società che è pronta a fagocitarli, a vederli soltanto come CONSUMATORI facilmente influenzabili, renderli vittime di falsi bisogni che li allontanano dalla loro affettività, dalla reale conoscenza di se stessi e dalla formazione dell’identità.

Gli strumenti psicanalitici non sono necessariamente inaccessibili, o privilegio di pochi fortunati, ma possono e dovrebbero diventare un patrimonio condiviso della nostra società.

Grazie anche al

C.I.R.S.O.P.E. Centro Italiano per la Ricerca Scientifica Operativa nella Psicanalisi e nell’Educazione

Conformismo nel tempo.

Tiziano 2012 - foto by Sabine Meyer

Oggi un orecchio dilatato suscita impressioni contrastanti.

Sembra un marchio indelebile, un segnale inequivocabile, di ribellione, di libertà, di allergia alle regole implicite, di insofferenza ai benpensanti, coloro che si fermano all’apparenza e sono pronti a giudicare.

Ci vuole un po’ di coraggio per essere così. Bisogna sentirsi forti. Sicuri nella propria identità.

Bisogna voler sfidare il conformismo imperante pronto sempre a condannarti prima di conoscerti.

Era così anche nel ’76.

Bastava il capello lungo per essere nel mirino.

Era un segnale di riconoscimento: ribelle, anticonformista, probabilmente drogato, insofferente alle regole.

Mia foto nella Patente - 1976

Eppure oggi io, ribelle di un tempo, allergico alle convenzioni e ai pregiudizi, faccio fatica ad accettare un orecchio dilatato.

Sarà un segno di vecchiaia? Di adeguamento ad una società superficiale, dove l’immagine esteriore condiziona il pensiero dei luoghi comuni?

O sarà soltanto una malinconia per un senso di libertà e di ribellione che sembra soltanto una ricchezza personale, lontana nel tempo.

O la coscienza che quella lontana illusione di libertà sia ormai sfumata, per quanto camminare a testa alta sia sempre e comunque un orgoglio, con accanto il proprio ideale di libertà.

Un libertà che è intesa in fondo come anarchia, ma con un profondo rispetto dei diritti di ognuno, prima di tutti quello di apparire come ci pare.

Grazie Tiziano, anche tu mi insegni qualcosa …

Come together

Come Together – The Beatles

E’ mio, è mia.

L’eterna lotta dell’infanzia

Non mi sento me stesso se non è mio.

Tu me lo tocchi, ma sono io che te lo permetto

Altrimenti mi vergogno.

Tu me la tocchi, ma sono io che ti lascio fare.

Altrimenti è violazione, delitto.

Il gioco continua sempre, quando adulti cerchiamo e offriamo,

quando ci sentiamo generosi per una semplice condivisione

o per un passaggio concesso.

Ma se condividere fosse un dovere

ci sentiremmo stuprati

nella nostra identità

che non si forma nell’amore,

ma nella proprietà.

Una identità deviata, insulsa,

costruita nel delirio:

“E’ mio, quindi sono”

Come Together – The Beatles

Grazie Gelmini: le scuole come centri sociali

Il pugno di ferro della Gelmini, l’aumento della severità ha sortito l’effetto contrario.

La Gelmini nasconde anche i dati che ci danno un calo dei bocciati durante il suo regno, evidenziando un altro grande merito del suo governo: la trasparenza
In effetti gli insegnanti, di fronte all’autoritarismo inutile e controproducente di Maria Stella, si sono alleati con gli studenti nel rifiuto delle indicazioni ministeriali e hanno di fatto allargato i loro giudizi con la loro benevolenza.
Meno male, aggiungo io. Almeno il fattore umano a scuola ha ancora una valenza.
Dando per scontato che sono ben poche le competenze che si riescono ad acquisire a scuola, ci si chiede che valore possa mai avere un aumento delle bocciature.
E’ ben raro quel ministro che si vanta del mancato conseguimento dei risultati, ma siccome siamo in Italia questo ci tocca.
Tuttavia la Ministra ha soltanto tagliato i finanziamenti ma non è riuscita a tagliare gli studenti.
Almeno la scuola ritrova così la sua principale funzione di socializzazione: un bel centro sociale dove i nostri ragazzi imparano un sacco di cose sulla vita.
Imaparano a fumare, a farsi le canne, le gioie del sesso e la musica buona.
Alla faccia della Gelmini.
Che rimanga nel suo tunnel!

Disegno di Andrea Pazienza

Articolo correlato:  Scuola? Buttiamola via!

La magia dell’abbraccio.

Ecco i protagonisti

Domenica 22 Maggio ad Ascoli Piceno alcuni ragazzi hanno lanciato l’iniziativa degli abbracci gratis, o Free Hugs.

Ho partecipato molto volentieri diffondendo anche un personale bigliettino:

L’azione nel centro cittadino di Ascoli Piceno ha suscitato un grande consenso. Quasi tutte le persone a cui è stato offerto un abbraccio lo hanno accettato con piacere, ricambiandolo affettuosamente e spesso commentando: “Bravi! Bravi!”

Il sorriso ha sempre accompagnato sia i ragazzi sia le persone che hanno avuto la fortuna di ricevere uno o, il più delle volte, numerosi abbracci.

Sembrava veramente di vedere passare una ventata che regalava serenità e gioia a tutti, anche se, magari, soltanto per pochi attimi.

Sono rimasto particolarmente colpito dall’approvazione delle persone anziane, sempre entusiaste.

Quattro signore non proprio giovanissime, già abbondantemente abbracciate da quasi tutto il numeroso gruppo, hanno “preteso” un caloroso abbraccio anche da me …

Questi ragazzi smentiscono il luogo comune che descrive i giovani come insensibili e indifferenti a tutto e a tutti.

I giovani hanno invece una grande energia, e una grande voglia di esprimere la loro affettività.

Nonostante un mondo che propone quasi esclusivamente “consigli per gli acquisti”.

Mi ha meravigliato invece il fatto che fossi l’unica persona oltre i 20 anni!

Sono stato accolto dal gruppo di ragazzi con la più grande semplicità.

Grazie ragazzi ! Siete grandi !

Le foto su Ascoli da Vivere
Le foto su Facebook

L’abbraccio ha una grande funzione sociale e terapeutica. Anche all’interno della famiglia è spesso trascurato. Soprattutto durante l’adolescenza si tende ad abbandonare il contatto fisico con i genitori, come fosse un segnale per manifestare la propria indipendenza.

Mentre è vero tutto il contrario: maggiore è la capacità di abbracciare i propri genitori, soprattutto l’omologo, maggiore è la propria reale autonomia.

Il rifiuto o il disamore per l’abbraccio dei genitori rischia di rendere difficile e impacciato anche il contatto fisico tra i coetanei. Anche i genitori, a volte, si “dimenticano” di coccolare un po’ i loro figli “ormai diventati grandi”.

Va bene così ragazzi!

Restiamo umani!

 

Articoli correlati:

L’abbraccio mancato.

Facciamo OPPOSIZIONE: Cambiamento e felicità SUBITO.

 

Amici

Ieri un amico mi ha detto: ma perché non scrivi più sul blog?


TRIO E VIENTO by Sabine Meyer

 

Allora oggi ho pensato di scrivere sull’amicizia.

Passo la mia vita continuando a parlare con le persone. In ogni modo. Telefono, chat, email. A volte le incontro. Abbastanza raramente. Tre o quattro volte all’anno.

Fa parte del mio lavoro. Parliamo di affari. Si vende, si compra.

Però oltre a questo sento  che, quasi sempre, c’è un filo che ci lega. Una sintonia, una complicità.

Qualcosa di più del semplice “Ne hai? Quanto vuoi? Fai un po’ meno! Mandane tre!”

Quando i rapporti sono più amichevoli spesso crescono anche gli affari, ma non sempre.

Ma almeno si riesce a divertirsi facendo due chiacchiere, sfottendoci un po’, volendosi bene.

Per molti anni abbiamo avuto due cani a casa. Cioè, ne avevamo uno, Viento, ma un giorno è tornato dalle sue passeggiate solitarie portandosi un’amica. Un cane bianco, dolce, con l’aria un po’ smarrita.

E nessuno ha avuto il coraggio di chiuderle la porta in faccia. Così, per molti anni, Viento e Gringa hanno fatto parte della famiglia.

Gringa by Sabine Meyer

Avevano una intesa speciale. Ricordo che li chiamavo, per farli tornare a casa, loro si scambiavano un’occhiata densa e rapida, e poi … Via! Scappavano via con una corsa forsennata, giocando e mordicchiandosi in continuazione durante la corsa. Erano davvero amici.

Poi un giorno Viento non è più tornato a casa. Non abbiamo mai saputo perché e per come. Gringa è rimasto il nostro cane. Anche se la mancanza di Viento si è sentita a lungo.

Spesso l’amicizia non ha bisogno di parole, è una questione di intesa. E l’intesa è una faccenda più epidermica.

Ma torniamo al mio amico di prima.

E’ un “ragazzo” che cerca di dedicare un poco del suo tempo all’impegno sociale. Ci mette il cuore. Ha fondato l’Associazione I Care e, quando può, organizza iniziative, convegni, conferenze.

Adesso si impegna molto per il referendum sull’acqua, chissà perché non si impegna per il nucleare, però adesso è così.

Con Marco spesso litigo. Bonariamente, che  ci vogliamo bene, ma ci capiamo poco.

Ad ogni modo cercherò di trovare la possibilità di condividere parte delle mie esperienze, di trovare energie per sviluppare progetti e iniziative, perché alla fine la nostra esperienza possa essere utilizzata anche dagli altri, anche se il tempo dei sogni e delle grandi speranze è già finito …

Ma le trasformazioni hanno sempre tempi molto più lunghi del nostro desiderio, che avrebbe sempre aspettative magiche.

Come l’amicizia, una magia unica, che si arricchisce della diversità.

Uguaglianza: il tempo è uguale per tutti.

John and Bob Kerr_ Photo by Sabine Meyer 1991

Il nostro mondo è pieno di diseguaglianze, ricchi e poveri sono lontani anni luce per la differenza di beni posseduti. Alcuni muoiono di fame mentre altri nuotano nell’oro.

Ma, a parte gli eccessi, che dovrebbero sempre essere eliminati, vista l’assurdità della morte di bambini colpevoli soltanto di essere nati nella parte sbagliata del mondo, in qualcosa siamo tutti uguali.

Le nostre giornate sono per tutti di 24 ore. Il tempo passa e nessuno diventa più giovane.

Una banalità, certo, ma quante volte ci soffermiamo a pesare il nostro tempo?

Quante volte ci impegniamo veramente a difendere il tempo che possiamo destinare a noi stessi, ai nostri affetti, ai nostri interessi?

Tutti dobbiamo dedicare alcuni tempi fisiologicamente alla sopravvivenza: dormire, bere, mangiare, urinare e defecare sono attività cui nessuno, ma proprio nessuno, può rinunciare.

E già dedicarsi a queste attività con un certo gusto, piuttosto che come allo svolgimento di pure necessità, aiuta il nostro benessere.

Potremmo aggiungere anche lavarsi, e lavare i denti …

Anche questo può essere piacevole!

Anche il luogo dove viviamo andrebbe mantenuto pulito e ordinato, già più noioso tuttavia abitare in un luogo accogliente è anch’esso un piacere (casa mia casa mia, per piccina che tu sia…)

Diciamo che, ad andar bene, 10 ore al giorno sono piene per queste attività essenziali.

Ne restano 14! Neanche poche …

Se 8 ore servono per lavorare magari altre 2 o 3 ore servono per raggiungere il posto di lavoro.

E già questa è una grande fregatura, perché questo è tempo che nessuno ci paga, anzi dove sosteniamo spese per spostarci, oltre ai disagi dovuti ad un traffico spesso congestionato, costoso e disagevole.

Una organizzazione migliore ed il telelavoro potrebbero aiutarci, anche perché sembra che in fatto di tempo libero gli italiani siano gli ultimi in Europa …

E forse qualcosa si sta muovendo, con l’aiuto del governo (strano, ma sembra vero) e il beneplacito di tutti i sindacati (uuuhhh!).

Allora ben venga il maggiore spazio per noi stessi e per i nostri affetti, purché non venga buttato via davanti alla TV…

In effetti sembra che quello che ci rubano, che cercano di prenderci a nostra insaputa sia proprio il tempo, il NOSTRO TEMPO.

Questo tempo LIBERO, se non stiamo più che attenti, in realtà viene ingabbiato nelle abitudini che ci rimbambiscono: la TV o la droga (intesa come sigarette, alcool e altri stupefacenti) o lo sport inteso come tifo (soprattutto calcistico).

La cultura, l’arte, la pratica sportiva, l’amore, l’affetto hanno magari meno spazio nella nostra vita della pubblicità (che subiamo passivamente), di you tube, delle partite di calcio trasmesse in TV, del sesso pubblicizzato o venduto, delle avventure dei reality show o anche di Facebook e Internet che ci portano a volte a naufragare senza meta più che a navigare!

Insomma, teniamoci il nostro tempo e non lasciamoci fregare stupidamente!

Pretendiamo di avere il lavoro vicino, o i mezzi di trasporto efficienti, o di lavorare a casa.

Cerchiamo di avere attenzione per coloro che ci sono vicini, con cui abbiamo un rapporto di amore e di amicizia. Non finiamo per considerarli come una parte scontata del nostro quotidiano.

Ognuno di noi è VIVO.

Finché siamo in tempo!

Ritmo di Tamara de Lempicka -1925

Tamara de Lempicka